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Unità-La gelida riforma della signora Moratti

- di Corrado Stajano Non saranno soltanto la tragedia dell'Iraq (prevedibile, prevista) insieme con la disastrosa situazione delle nostre finanze, il mancato patto di stabilità europea, le promess...

09/04/2004
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l'Unità

- di Corrado Stajano

Non saranno soltanto la tragedia dell'Iraq (prevedibile, prevista) insieme con la disastrosa situazione delle nostre finanze, il mancato patto di stabilità europea, le promesse non mantenute e le bugie di un governo più simile a un croupier delle tre tavolette che a un competente amministratore, i temi della prossima campagna elettorale.
Anche la scuola sarà protagonista. Milioni di donne e di uomini, offesi dalla legge Moratti, punti sul vivo, discutono, protestano. Molti di loro sono scesi in piazza forse per la prima volta nella vita e seguiteranno a farlo. Manifestazioni colorate, spesso allegre, ironiche, prive di dramma, come capita quando chi dice no ha la coscienza di essere nel giusto. Madri, padri, figli, professori,maestri, studenti, persone che lavorano nella macchina scolastica sono preoccupati per una legge che nasce sballata, priva di consenso e si oppongono apertamente anche molti elettori del centrodestra.
La legge ha messo in crisi i ritmi della vita quotidiana di un'infinità di famiglie che temono il peggio per se stesse e per il destino dei figli. Argomenti che scottano, non certo formali. La legge delega 28 marzo 2003, n. 53 è algida come il ministro. Le leggi e i loro linguaggi sono solitamente fredde e distanti. Alcuni non lo sono, come la Costituzione della Repubblica. Basta un esempio, l'articolo 3 della Carta costituzionale dove si sente la passione, si sentono i grandi valori dell'esistenza, la conquista della libertà e della giustizia costata tanti sacrifici: "È compito delle Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". La legge Moratti è più gelida e meccanica della generalità delle leggi. Sembra di trovarsi, leggendo il testo della legge delega, in un grande supermercato dove studenti, maestri e professori sono assimilati a delle merci inscatolate messe in fila sugli scaffali.
Manca il grande disegno riformatore che non si può pretendere da un governo di conservazione. Si avverte soltanto la volontà di mettere ordine anche dove già esisteva un ordine creato da altri, consolidato dall'esperienza, visto ora come un nemico da abbattere. Solo che una legge desiderosa di modernizzare non può essere avallata in modo burocratico soltanto dalla parte maggioritaria del Parlamento. Non appartengono infatti al governo e alla sua volontà padronale le fregole per una nuova scuola, ma all'intera società nazionale.
La legge riguarda il presente e il futuro di tutto il Paese e avrebbe dovuto nascere dall'incontro e dal confronto delle diverse culture politiche che ne fanno parte. Non con il metodo della legge delega che il governo chiede al Parlamento, ma con una legge ordinaria da discutere in modo approfondito, capace di rappresentare le opinioni difformi di una società in profonda trasformazione. Quel che accadde ai tempi della Costituente quando le culture politiche cattolica, comunista, socialista, laica si incontrarono, non sempre inmodo idillico, e riuscirono a scrivere una legge ancora oggi ammirata nei paesi europei. Ma solo quel ricordo deve fare orrore ai "liberali " governanti di oggi.
Racconta Tullio De Mauro nel libro pubblicato dal Diario di Enrico Deaglio dedicato alla scuola - Nessuno nasce imparato - , (386 pagine di opinioni, inchieste, documenti), quel che consigliò nel 1996 al suo predecessore al Ministero della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer: "Gli dissi allora che erano preferibili provvedimenti singoli, su contenuti di insegnamento, su aspetti particolari (generalizzare la scuola dell'infanzia, innalzare progressivamente l'obbligo, cambiare l'esame di Stato, insegnare precocemente due lingue straniere, sviluppare l'educazione degli adulti), piuttosto che perseguire una generale e totalizzante riforma, tanto più in una fase di profondo decentramento delle strutture amministrative".
Il pensiero di De Mauro esprime bene le difficoltà di una riforma globale in un momento di complessità della vita di una comunità. Quest'ultima riforma durerà poco, come la "Carta della scuola" di Bottai promulgata dal fascismo agli albori della seconda guerra mondiale. (Gli studenti la odiavano. Chi veniva rimandato in una materia doveva riparare in ottobre tutte le materie). La legge Moratti: "Le espressioni "scuola materna", "scuola elementare" e "scuolamedia" si intendono sostituite dalle espressioni, rispettivamente "scuola dell'infanzia", "scuola primaria" e "scuola secondaria di secondo grado". Dietro questo linguaggio asettico si nascondono le insidie che hanno fatto infuriare madri tranquille e professori di idee moderate. Perché questa nuova scuola elimina l'autonomia, abolisce in effetti l'obbligo scolastico, reintroduce il voto in condotta, costringe gli studenti a scegliere in età troppo precoce il percorso degli studi, licei e scuola professionale. Il tempo pieno, prezioso soprattutto per i genitori che vivono nelle grandi città, è stato abolito. Spiega in quale modo un'insegnante, Elena Miglietta, nel libro pubblicato dal Diario: "Nell'ultimo articolo del decreto attuativo, quello che rende operativa la legge, vengono abrogati gli articoli del Testo unico relativi al tempo pieno delle elementari e al tempo prolungato delle medie perché incompatibili con le norme del decreto. Viene a mancare una parte ben funzionante e collaudata della scuola italiana della quale siamo molto orgogliosi". La riforma Moratti ha uno stampo aziendalistico-autoritario-regressivo. La scuola - il fenomeno è oggi generalizzato anche in altri settori - viene considerata come una fabbrica d'altri tempi dove quel che conta è lo sfruttamento intensivo, dove il lavoro deve costare di meno espellendo manodopera. Una riforma che difetta di cultura e immiserisce il Paese.


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