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Unità: «La fatica di fare la maestra unica»

lettera di una docente della scuola elementare Contardo Ferrini, 38° circolo didattico, quartiere Salario di Roma.

19/09/2008
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l'Unità

Lisa Franca Satta

Cara Ministra,

Le scrivo con rabbia, ma con anche un po’ di commiserazione, sì ha capito bene: commiserazione per chi, come lei, vive nel paese del mulino bianco, nella società televisiva e superficiale che il vostro sistema ha creato.

Il suo sorriso ecumenico ma tagliente, dispensato a piene mani da tutti i telegiornali, dove poco ho ancora visto «maestre uniche» come me, e come le altre migliaia che esistono in Italia, mi irrita e mi sconforta.

Inutile parlare dell’irritazione, è sotto gli occhi di tutti la falsità dei suoi proclami. Preferisco parlare dello sconforto, di quel senso di totale impotenza dovuto al non poter avere voce, nel suddetto candido e fittizio paese, creato ad arte da un sistema che, per carità, non si prenda il merito di aver creato da sola.

Ho cinquantuno anni e insegno, per lucida e passionale scelta, da circa ventisette; ho vinto il mio bravo primo concorso, fatto nell’ormai lontano 1982. Non sono stata precaria e ciò significa essere miracolati in questa povera Italietta piena di furbetti e ingiustizie. Rappresento ciò che nella sua mediatica testa sarà senza dubbio il maestro unico.

Una domanda: mai nessuno le ha fatto notare che il corpo docente della scuola elementare è per il 99% formato da «maestre»? Che poi siano uniche, in senso di personalità, spesso coincide… perché questo è un lavoro speciale!

È un lavoro faticoso, mal pagato e ormai privo di quel prestigio sociale che soltanto sino a trenta anni fa ancora esisteva. Ma la maggior parte di noi ancora ci crede.

La maggior parte di noi, specie dalla mia generazione in poi, lo ha scelto con convinzione, devozione e passione o quanto meno è così per me e molte mie amiche.

Non è più il lavoretto part time svolto dalla moglie del professionista, che così può agevolmente seguire anche la famiglia.

Io, per portare a casa il grandioso stipendio di circa millequattrocento euro, più altri millecinquecento di progetti in un intero anno scolastico, passo le mie giornate a scuola. Ce le passo volentieri, sia chiaro, mi diverto a fare l’orto coi miei alunni, la ceramica, la pittura, le sperimentazioni di scrittura creativa e, da ultimo, le vostre «tre i».

Mi piace molto raccogliere i sorrisi dei bambini quando propongo loro un’attività ludica ma altamente ricca di contenuti didattico educativi. Mi piace molto anche litigare con chi, come lei, non sa niente delle frustrazioni di vedersi sempre più impotenti e sfruttate, a causa, ancora una volta, dello scarso riconoscimento sociale, ma soprattutto del carico di lavoro che ci sobbarchiamo ogni giorno per fare quella che universalmente è considerata una scuola di eccellenza. Io e le mie colleghe non cadiamo nella trita retorica della «missione» degna del libro Cuore; personalmente, se mai, mi sento quella Ida del capolavoro della Morante…

Potrei continuare a lungo ma mi fermo qui, perché questa è una lettera, una lettera avvelenata.


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