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Unità-La Cultura La fà Cascà la Dittatura

La Cultura La fà Cascà la Dittatura La lezione di nonna Argelide Carla Fracci Carla Fracci, Salvatore Accardo e Michele Campanella sono i protagonisti di una serata evento al te...

10/02/2005
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l'Unità

La Cultura La fà Cascà la Dittatura

La lezione di nonna Argelide

Carla Fracci

Carla Fracci, Salvatore Accardo e Michele Campanella sono i protagonisti di una serata evento al teatro Eliseo a Roma, lunedì 14 febbraio, intitolata "Per il cinema italiano, per il teatro italiano, per la musica iitaliana contro le politiche culturali di questo governo"
"La cultura la fà cascà la dittatura". Una frase che mi è rimasta ferma nel cervello fin dalla mia prima infanzia. La diceva nonna Argelide, contadina socialista, abitava a Volongo, provincia di Cremona, un paese dalle stesse parti di Sesto e Uniti dove è nato Sergio Cofferati. Erano gli anni neri della guerra: 1943, 1944, 1945. A Milano i bombardamenti, mio padre alla guerra in Russia, mia madre operaia della Innocenti ed io, bambina, sfollata a casa della nonna. Libera dalla scuola elementare mi divertivo un mondo a fare la guardiana delle oche che menavo al pascolo fino sulle rive del Po. Non avevo assolutamente voglia di studiare quello che si può apprendere alla scuola elementare, e quella socialista di mia nonna, con riferimento ben preciso alla dittatura agonizzante, mi rimproverava con quella frase salutare: "La cultura la fà cascà la dittatura". Sono passati tanti anni da quando sentivo con frequenza quella frase che allora mi sembrava strana ed esprimeva cose che nell'infanzia non capivo bene. Poi, anno dopo anno, considerando gli eventi, ho capito il profondo significato della frase della nonna: è stato tante volte così, i dittatori sono stati sempre nemici della cultura, della libertà di cultura, ma c'è da dire che la resistenza della cultura ha fatto sempre, seppur con infiniti sacrifici, anche i più estremi fino al martirio, finire le dittature. Tutto il Novecento insegna così. Ora nel nostro Paese si attua un progetto inquietante: tagliare - che brutto verbo, sa di ghigliottina - i fondi statali alla cultura è, a mio modesto avviso, la cosa più insana che un governo eletto democraticamente possa fare, a meno che la parola democrazia possa essere interpretata in modo totalmente distorto.Cultura vuole dire tante cose: non solo libri, non solo volumi e volumi scritti, non solo tele e tele dipinte, non solo sculture, non solo danze; cultura vuol dire anche come sapere bene coltivare i campi, come sapere tenere bene l'acqua pulita nei fiumi, come sapere parlare ai giovanissimi perché sappiano distinguere tra le cose, perché sappiano distinguere tra chi sa fare bene e che non lo sa fare, cultura vuole dire rispetto dell'ambiente, rispetto dei giovani, rispetto dei vecchi, cultura vuole dire soprattutto un impegno serio per il futuro dei giovani che sono i più bisognosi di cultura.
Io mi appello al governo del nostro Paese, governo eletto democraticamente, perché rifletta su quello che qualsiasi italiano di buona volontà ha il diritto di ricevere; mi appello perché il Governo abbia un ripensamento e trovi la maniera di non togliere alla cultura i mezzi pubblici per sopravvivere: è la necessità fondamentale per la vita morale del nostro Paese. E vorrei che un riguardo particolare venisse rivolto al futuro delle giovani generazioni, le più bisognose di certezze per trasformare i sogni in qualcosa di vero.
Carla Fracci


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