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Unità-La corsa dei programmi. E tra i banchi volano le scarpe

La corsa dei programmi. E tra i banchi volano le scarpe Luigi Galella Dalla sala docenti mi affaccio alla finestra e guardo i ragazzi. Sono in ordine sparso, in attesa dell'ultimo momento ...

17/10/2005
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l'Unità

La corsa dei programmi. E tra i banchi volano le scarpe

Luigi Galella

Dalla sala docenti mi affaccio alla finestra e guardo i ragazzi. Sono in ordine sparso, in attesa dell'ultimo momento utile per entrare. Li vedo scalpitare malvolentieri, nervosi, a testa bassa. Con l'ingresso a scuola scatta la tagliola dell'impegno: è questo che al solo pensiero sembra affaticarli, prima ancora di iniziare la corsa. L'idea che si debba lavorare di testa. Un po' come trovarsi di fronte all'acqua gelida di un lavandino avendo il corpo assopito e caldo, impigrito dalla notte. L'impegno è un pensiero responsabilizzante, che si vorrebbe volentieri fuggire o almeno differire. Una scossa alla mente cui si chiede di alzarsi e andare, per esser traghettata altrove.
Ma oggi questo "altrove" è sempre più vago e dubbioso nei suoi fini, e quando questi si precisano, invece, si presenta dai contorni massicci e invalicabili. Sono così molteplici i saperi, che si vanno ogni giorno diramando in nuove specializzazioni, così impervio e lungo il sentiero dell'apprendere, che è sufficiente l'idea della strada da percorrere a generare la paralisi.
Anche noi insegnanti siamo condizionati dalla percezione di questa paralisi. Ad esempio quando dobbiamo indicare un certo numero di pagine da studiare. I nostri libri di testo, già a suo tempo ridotti di volume, sono di 400, 500 pagine. Dovremmo assegnarne una ventina, trentina alla volta per poter svolgere il programma fino in fondo, e qualcuno di noi doverosamente lo fa, ma col risultato di accrescere tra i ragazzi la percezione di inadeguatezza e la sfiducia. Se giochiamo al ribasso ci rendiamo perfettamente conto che quel poco non basta; se aumentiamo la dose, gli stimoli e le nerbate sulle natiche rischiamo di stremare il cavallo. Peraltro, qualcuno di noi comincia a chiedersi dove stiamo conducendo quell'animale. Di quale corsa si tratti e quale sia il traguardo.
Capito in un'ora di buco in una classe in cui mi succede di parlare proprio di questo. È una quinta. Ritrovo Alessandro, che ho conosciuto qualche anno fa. Uno sveglio, non troppo votato allo studio, che critica la loro insegnante di Lettere. È "logorroica". "Non c'è dialogo". "Parla sempre lei". E per di più pretende che si studino trenta pagine di storia o letteratura a lezione. "Ma come si fa?".
La classe è poco numerosa. Una sola femmina e tutti maschi. Non tutti loquaci, almeno con me. Quando sono entrato c'era una scarpa che volava e risate che rimbalzavano qui e là. Ho chiesto se non si vergognavano di quello spettacolo: il proprietario si è ripreso la sua scarpa, si sono calmati. Sembrano ragazzi come tanti altri, né migliori né peggiori. Tra loro, anche un mio alunno dell'anno scorso, ripetente, che per sua esplicita richiesta, "perché non avesse nessuno dei professori che lo hanno bocciato", è stato inserito in un'altra sezione. Lo trovo cambiato. Un po' di peluria cresciuta agli angoli del viso, ma soprattutto un'espressione adulta e risentita. L'insegnante di Lettere, tornano a raccontarmi tra una battuta e l'altra, pretenderebbe da loro il massimo impegno. Spiega gli argomenti scrupolosamente, è vero, ma è proprio per questo che suscita la sensazione di "parlare sempre lei". Non la rimproverano certo di non fare il suo dovere, anzi. Ma sorridono sul fatto che, nonostante l'impegno profuso, sia in ritardo con il programma dell'anno scorso. Ed è per questo che lei, preoccupata di non farcela a terminare, fin dai primi giorni di scuola ha iniziato a correre. Una corsa tuttavia "en solitarie". Loro no. Faticano a dirmelo, ma si capisce che non la seguono. Fra i banchi, troppo piccoli e stretti per la mole dei corpi, mi appaiono come dei bambini cresciuti all'improvviso: alti, robusti, qualcuno sovrappeso, ma coi visi tondi e gli occhi smarriti dell'infanzia. Dovrebbero correre, per poter seguire il ritmo tumultuoso dei saperi che avanzano, ma sembra che al contrario siano fermi, immobili, come dei cavalli scossi, frastornati dalle urla della folla che li incita. Avendo disarcionato il proprio fantino, che li insegue strepitando, hanno guadagnato un'inquieta libertà, e ora di colpo si arrestano e si guardano intorno sgomenti, chiedendosi che farne.
luigalel@tin.it


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