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Unità: L’università scende in piazza, «Avete commissariato il sapere»

Da Roma a Bari, da Pavia a Firenze la protesta di studenti, ricercatori e dottorandi. Sott’attacco la coppia Gelmini e Tremonti. Pier Luigi Bersani: «La riforma dell’istruzione umilia gli atenei»

15/10/2010
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l'Unità

Di un contentino nel milleproroghe non si accontentano. Vogliono che il ministro dell’Istruzione, con tutto il governo, vada a casa, perché «questa riforma Gelminator non l’ha scritta da sola». Hanno facce giovani, magliette con su disegnati mattoni, caschi gialli da cantiere in testa, catene di carta stagnola al collo: simboli del muro dell’ignoranza da abbattere, dell’università-cantiere di sapere, dell’università distrutta dai tagli. Del ministro Tremonti non si fidano neppure quando dice, mentre anche Lega e pezzi del Pdl premono, che «per l’università ci sarà il massimo dei fondi possibili nel decreto di fine anno». Contestano il metodo: «non vogliamo gli avanzi, l’istruzione pubblica deve essere priorità». «Soldi all’università non alle bombe» è uno dei leit motiv di una lunga giornata di contestazione universitaria, con tanto di blocchi del traffico a Roma centro per un corteo non autorizzato e lanci d’uova contro la sede della conferenza dei rettori (Crui) da parte di un manipolo di collettivi. Ieri tremila studenti, ricercatori e dottorandi sono giunti da tutta Italia in piazza Montecitorio a Roma, aderendo al sit-in indetto da Udu e Flc Cgil a cui hanno partecipato anche i Giovani Democratici, per protestare contro la riforma dell’università e chiedere le dimissioni della Gelmini. Non fa niente se il ddl, che ieri doveva andare in Aula, arriverà solo dopo la Finanziaria: lo stop di Tremonti al ddl per assenza di copertura galvanizza la piazza: «È un chiaro segno dell’incapacità di questo governo», dicono gli universitari. «La Gelmini è commissariata da Tremonti, ora va aperto un confronto sui mali dell’università e un percorso fatto di assemblee per scrivere una riforma tutta diversa. Una riforma che prima di tutto tenga fuori i privati dall’università pubblica», dice Giorgio Paterna, coordinatore nazionale dell’Udu. È tra i primi ad arrivare in piazza insieme ai colleghi di Torino, «Sai che in Piemonte l’Edisu rischia di diventare un ente inutile tra un anno?».Èl’ente regionale per il diritto allo studio del Piemonte, punta d’eccellenza nel settore, noto per erogare copertura totale delle tasse universitarie agli studenti con Isee fino a 18mila euro; inoltre finanzia case per studenti e mense universitarie che rischiano di chiudere per via di un taglio che riduce i fondi da 22 milioni a 7: la presidente si è già dimessa. Il Politecnico a Torino è occupato come Ingegneria a La Sapienza, la rabbia è tanta nelle facoltà scientifiche. E poi ci sono gli studenti di Pavia e Urbino «disposti a fare sacrifici, ma il governo deve garantire fondi a ciò che è importante sia pubblico: la sanità e l’istruzione»; ci sono i sardi arrivati in aereo e gli aspiranti architetti de La Sapienza, i più fantasiosi. Nel pomeriggio mettono all’asta una ricercatrice: si va a ribasso, dai 500 euro del bando iniziale viene aggiudicata per «un rimborso spese». Speranze nel futuro poche e non si può neppure andare all’estero: a Daniele tre università londinesi hanno bocciato la richiesta di master. La motivazione? La laurea triennale che avrà in mano non gli darà adeguati strumenti tecnici, non attesta la capacità di uso dei programmi di progettazione, a Londra è carta straccia. A fine giornata si rilanciano assemblee in tutto il paese e i due cortei studenteschi di domani a Roma, dove i ragazzi saranno accanto agli operai della Fiom. Arriveranno da tutta Italia, si dice, e anche ieri la mobilitazione è stata nazionale. A Bari i ricercatori hanno bruciato in piazza i loro curriculum, a Pavia corteo per le vie del centro, a Firenze lezioni di medicina davanti all’ospedale Careggi, a Pisa occupato il Rettorato. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che ieri ha incontrato una delegazione di universitari e ricercatori, non ha dubbi: «La riforma degli atenei viene vissuta come fumo negli occhi dalle forze vive dell’università. Volerla approvare è fuori dal mondo». Poi rilancia la proposta affidata alle colonne del Corriere della Sera e propone al governo la vendita delle frequenze digitali libere per finanziare gli atenei.


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