Unità-L'ultima della Moratti: no alla ricerca europea
L'ultima della Moratti: no alla ricerca europea PIETRO GRECO L'Italia sbarra la strada alla costruzione dello spazio europeo della scienza. O, almeno, alla posa di quel primo mattone che è ...
L'ultima della Moratti: no alla ricerca europea
PIETRO GRECO
L'Italia sbarra la strada alla costruzione dello spazio europeo della scienza. O, almeno, alla posa di quel primo mattone che è il Consiglio europeo della ricerca (Erc). E l'Unione resta ancora una volta sconcertata da questa ennesima eccentricità antiunitaria manifestata dal governo Berlusconi nelle medesime ore in cui a Roma il premier italiano ospitava compiaciuto la firma solenne della Costituzione europea.
Ma andiamo con ordine. Tutto inizia lo scorso mese di dicembre, quando un apposito 'gruppo di esperti' propone al Consiglio Europeo dei Ministri, da cui era stato nominato, il suo rapporto finale sulla fattibilità di un Consiglio europeo di ricerca che coordinasse e finanziasse la ricerca scientifica di base in Europa. Il gruppo di esperti non si limitava a rilevare l'assoluta necessità, per la scienza del vecchio continente, di una simile struttura, ma indicava anche le basi su cui costruire Erc (che potremmo riassumere in due parole: eccellenza e autonomia) e individuava anche il budget minimo per poter iniziare: 2 miliardi di euro l'anno.
La necessità di costruire una politica unitaria della ricerca scientifica di base nasce da una duplice analisi. Da un lato l'analisi comparativa con quanto succede nel resto del mondo. E dall'altro un'analisi tutta interna alla struttura della ricerca scientifica europea.
L'analisi comparativa con gli Stati Uniti d'America e il Giappone, per esempio, ci dice che la scienza europea è competitiva dal punto di vista della quantità, ma non lo è sempre dal punto di vista della qualità. Per esempio, fa notare Frank Gannon, direttore esecutivo dell'European Molecular Biology Organization (Embo), gli europei pubblicano 818 articoli scientifici l'anno per ogni milione di abitanti, contro i 926 degli statunitensi. Ma tra gli europei solo 2,5 articoli su mille entrano nella speciale classifica degli 'highly cited papers', degli articoli più citati e, quindi, giudicati più interessanti dai colleghi di tutto il mondo, mentre tra gli americani gli 'highly cited papers' sono 16,4 su mille: quattro volte di più.
Ancora. Gli Stati Uniti piazzano ben 15 loro università tra le 20 migliori al mondo (secondo una classifica controversa, ma pur sempre indicativa), contro le 4 dell'Europa (la ventesima è in Giappone). Negli ultimi 15 anni, l'Accademia delle Scienze di Stoccolma ha assegnato 101 premi Nobel nelle discipline scientifiche: ebbene, 68 tra i premiati erano americani, contro i 23 europei.
L'Unione europea spende l'1,9% del suo prodotto interno lordo in ricerca scientifica, contro il 2,7% degli Usa e il 3,0 del Giappone. Quindi non desta meraviglia che in Europa vi siano solo 5,4 ricercatori ogni mille lavoratori, contro gli 8,1 degli Stati Uniti e i 9,3 del Giappone.
Potremmo continuare a lungo nella nostra analisi statistica comparativa. Ma un fatto sembra certo: la ricerca scientifica europea deve recuperare il terreno perduto rispetto a quella d'oltre Atlantico e a quello che rischia immediatamente di perdere rispetto a quella del costruendo 'spazio asiatico della scienza' che si va formando sulle sponde tra l'Oceano Pacifico e l'Oceano Indiano.
Questa esigenza non è meramente culturale (e non sarebbe certo poco). Ma anche economica e sociale. L'Europa non potrà competere nella futura società della conoscenza se non ha una ricerca scientifica di assoluta eccellenza. Come, per altro, aveva ben intuito, alcuni lustri or sono, Antonio Ruberti, il primo a teorizzare la costruzione dello 'spazio europeo della ricerca'.
L'analisi della struttura della scienza in Europa offre molti spunti per spiegare il 'gap di qualità' rispetto alla scienza americana. Il primo dato che si ricava da questa analisi è che quella europea è una scienza frammentata. Bruxelles finanzia e coordina solo il 5% della ricerca scientifica dell'Unione, il restante 95% è finanziato e coordinato a livello nazionale dai singoli stati. Occorre superare questa frammentazione per iniziare a recuperare il 'gap di qualità'. È per questo che il gruppo di esperti ha consigliato la rapida istituzione del Consiglio europeo della ricerca (Erc) per finanziare, con risorse nuove, la ricerca di base in Europa. Ed è per questo che, dopo il mese di dicembre 2003, è nata l'Iniziative for Science in Europe (Ise), un'organizzazione che raggruppa 11 grandi strutture di ricerca europea e che ha l'obiettivo dichiarato di realizzare in tempi brevi l'Erc sulla base, dicevamo, di due indicazioni: il Consiglio deve essere autonomo e deve promuovere la ricerca eccellente.
L'Ise ha pubblicato una lettera-manifesto sulla rivista americana "Science" lo scorso 6 agosto, che ha ottenuto l'approvazione di ben 35 diversi centri di ricerca sparsi per l'Unione. L'Ise ha tenuto il suo convegno di fondazione ufficiale la settimana scorsa, tra il 25 e il 26 ottobre, a Parigi, dove ha riproposto il suo prioritario obiettivo: dare vita al Consiglio europeo della ricerca. Tutti i governi dell'Unione si sono detti d'accordo. O, almeno, nessuno ha opposto pubbliche obiezioni. Tutti tranne uno: il governo italiano di Silvio Berlusconi. Che, attraverso il sito ufficiale del ministero dell'Istruzione e della Ricerca guidato da Letizia Moratti, ha espresso le sue "forti perplessità" per l'iniziativa. Perplessità che nascono da che cosa? Beh, proprio dalla natura dei pilastri su cui gli scienziati europei vorrebbero far nascere il Consiglio europeo della ricerca. Il ministero della signora Moratti si dice perplesso per il carattere di autonomia dalla politica che dovrebbe caratterizzare l'Erc e per il carattere dell'unico criterio che dovrebbe discriminare i finanziamenti, l'eccellenza. Insomma, il governo italiano scrive - nero su bianco - che non gli piace una scienza europea poco influenzabile e che (summa iniuria) premia solo i più bravi.
Per la verità, il nuovo presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Fabio Pistella, parlando a Genova il 26 ottobre scorso nell'ambito delle conferenze di "Scienza e Società" organizzate da Giunio Luzzatto, ha manifestato obiezioni più puntuali e, certo, non manifestamente infondate, tipo: le risorse a favore dell'Erc saranno nuove e aggiuntive (come è auspicabile) o si attingerà ai fondi europei già stanziati che, tradizionalmente, vanno alla ricerca applicata?
Ma le giuste domande di Pistella non modificano di una virgola il fatto che il governo italiano è l'unico ad aver espresso "forti perplessità" sulla realizzazione del Consiglio europeo della ricerca. E che queste "forti perplessità" creano, a loro volta, "forti perplessità" negli ambienti scientifici e diplomatici del resto d'Europa.
"Penso che la posizione italiana rappresenti uno shock in molte capitali europee", ha dichiarato per esempio Luc van Dyck, segretario dell'Ise, al giornale americano "The Scientist".
"Sono sorpreso che l'input proveniente dall'Italia sia così scopertamente negativo", sostiene Frank Gannon. "Gli argomenti italiani tendono a mantenere lo status quo, ma la ricerca negli Usa, in Cina, in India evolve velocemente e noi dobbiamo fare qualcosa". Questi commenti non ne richiedono davvero altri. La critica dell'Italia al Consiglio europeo per la ricerca, che l'americano "The Scientist" definisce, tranciante, è percepita in Europa con un ostacolo - un ostacolo tanto ingombrante quanto inspiegabile - sulla strada della costruzione di uno spazio europeo che consenta alla scienza dell'Unione di competere alla pari con quella dell'America e dell'Asia. Vagli a spiegare agli scienziati (e anche ai diplomatici) europei che per il governo Berlusconi i concetti di autonomia, di eccellenza e, forse, persino di Europa sono autentici disvalori.