Unità: L’offerta per gli statali:sì al contratto ma rinnovo triennale
investire sul corpo insegnante non è uno spreco, è una scelta doverosa e che fa onore ad un sindacato "soggetto politico generale".
Bruno Ugolini
Uno spiraglio a quanto pare positivo per il pubblico impiego, dopo il vertice convocato da Romano Prodi. Una nuova prospettiva potrebbe essere stata aperta da una proposta avanzata, nel corso del vertice, dal ministro per le riforme nella Pubblica amministrazione Luigi Nicolais. Tale proposta ritorna a far propri i termini salariali di un accordo già firmato in precedenza. Quello che prevedeva un aumento di 101 Euro. Chiedendo però, in cambio, un passaggio dai rinnovi contrattuali ogni due anni a rinnovi ogni tre anni. Una scadenza che permetterebbe, in sostanza, una riforma del sistema contrattuale, anche in connessione ai problemi di produttività e d’efficienza. Una riforma, però, tutta da discutere e verificare con le organizzazioni sindacali. C’è da dire che tale ipotesi di un passaggio a scadenze triennali era stato a suo tempo proposta e discussa dal congresso nazionale della Cgil. Il che testimonia la presenza di una sensibilità forte del sindacato su queste tematiche. La scelta di tempi troppo stretti tra una scadenza e l’altra finiscono, infatti, come dimostrano l’esperienze fatte, col bloccare la normale dinamica sindacale e con l’impedire una contrattazione utile al rinnovamento della pubblica amministrazione.
L’annuncio è giunto al tramonto di una domenica molto particolare per il governo. Non era, infatti, in gioco solo il contratto degli statali, ma tutto quello che si portava appresso, ovverosia un rapporto costruttivo con i sindacati anche sugli altri tavoli, a cominciare da quello relativo alla riforma previdenziale, per finire con quello del mercato del lavoro. Era in gioco la concertazione, fiore all’occhiello di un governo di centrosinistra che anche per questo vuol distinguersi dal centrodestra.
La riflessione aperta dovrebbe far comprendere che non è uno spreco investire sul lavoro pubblico. Il suo buon funzionamento, come tutti sanno, serve anche ai destini delle imprese private. Non sono un buttar soldi al vento, come potrebbe suggerire un’inchiesta condotta da un autorevole quotidiano come "La Stampa" su queste tematiche. Il giornale ricorrendo a dati forniti dalla Corte dei conti ha dimostrato come attraverso gli accordi integrativi il pubblico impiego avrebbe avuto aumenti economici non dappoco. Solo che questa stessa Corte dei Conti, come ha spiegato un segretario della Cgil, Paolo Nerozzi, ha messo insieme, nello stesso calderone, diverse categorie beneficiarie d’incrementi salariali assai diversi. E’ così in questa media del pollo troviamo i magistrati che si sono beccati il 12 per cento, gli ambasciatori col 15 per cento, i professori universitari col 10 per cento e gli Enti Locali col 3 per cento. Sono talmente vere queste cifre differenziate, dice Nerozzi, che le spese complessive per le retribuzioni pubbliche sono ritornate al livello degli anni Ottanta. E per quanto riguarda gli anni Novanta c’è stata una diminuzione dello 1,9 per cento.
E’ vero, certo, che i guasti nel pubblico impiego sono vasti e profondi. Ma non si risolvono con il muro contro muro. Perché non si mette ad esempio mano all’intreccio profondo tra certe burocrazie dirigenziali e forme di clientelismo politico? Qui siamo ad un sovrapporsi tra costo del lavoro e costo della politica. E perché i bravi cronisti di Torino non indagano sul costo delle maree di consulenze che assediano diversi gangli dello Stato? Non sto parlando dei lavoratori precari, usati a causa del blocco delle assunzioni, parlo di una "casta" di privilegiati, fruitori d’alte prebende. Sono spese (e spesso sprechi) più volte denunciati da un sindacato che davvero non appare come strumento corporativo. Ha forse il torto di non spiegare che lottare per uno stipendio dignitoso anche per le maestre elementari, a 1300 Euro il mese, significa aiutare non solo i consumi di tante donne e tanti uomini, ma l’avvenire dei nostri figli e del Paese. Anche qui sarebbe giusto comprendere che investire sul corpo insegnante non è uno spreco, è una scelta doverosa e che fa onore ad un sindacato "soggetto politico generale".