Unità: L’insegnante va alle Bahamas (e la scuola a ramengo)
Marina Boscaino
È di questi giorni la notizia, francamente sconcertante, di un’insegnante di un istituto tecnico di Viterbo che nel 2005 - assentatasi da scuola per malattia, dopo che il medico le aveva prescritto 5 giorni di riposo - pensò di trascorrere il periodo alle Bahamas. Sì, avete letto bene: Bahamas, arcipelago situato nell’Oceano Atlantico, ad est della Florida e a nord di Cuba. Non c’è dubbio che una cura di sole e mare sia ottimale per trattare una costipazione per la quale sono stati chiesti 5 giorni di riposo; ma l’ispettorato del lavoro - inviato dal dirigente di istituto - non è dell’avviso che l’assenza della degente possa essere giustificata da questa singolare scelta terapeutica. Scatta la denuncia (contro lei e contro il medico curante) per truffa. L’altro giorno processo con rito abbreviato: la docente risulta innocente «perché il fatto non sussiste». La prova: i certificati emessi (durante il soggiorno «terapeutico») da una clinica di Nassau, che comprovavano le effettive condizioni critiche della paziente.
Nel paese di Pulcinella tutto è legittimo; e come nei canovacci più abusati della commedia dell’arte, la furberia, l’astuzia, l’essere truffaldino vincono sempre. E suscitano anche - nel patto della finzione letteraria - quel non so che di solidarietà e di simpatia che ha reso popolari tante maschere e tanti personaggi. Nella vita reale del mondo degli uomini civili è esattamente l’opposto. Nella vita reale i furbetti del quartierino hanno suscitato l’ammirazione solo di coloro che - privi di cultura (in senso stretto; ma anche della legalità, della democrazia, della esigibilità dei diritti) - continuano a rincorrere il sogno del successo e della visibilità a sforzo zero, il sogno patinato dell’arricchimento facile, dell’evasione (fiscale, dalle regole, dalle leggi) che la parte del mondo cialtrone e ammiccante gli ha permesso - anzi, li ha autorizzati - a coltivare. La scuola - continuiamo a ripeterlo, un disco rotto e (inter)rotto dal fluire dei fatti, delle cronache, degli episodi che ci parlano di altro, che ci dicono e che, anzi, celebrano il contrario - deve innanzitutto promuovere le competenze di cittadinanza. Deve sollecitare, cioè, nei futuri cittadini che saranno i bambini e i ragazzi - attraverso gli incommensurabili strumenti di cui dispone, rappresentati dalle culture - la repulsione per tutto ciò che contravviene all’espressione più completa di questa bella parola, di questo concetto pieno: la cittadinanza. La scuola è, deve, è obbligata per sua stessa natura ad essere etica. L’equazione necessaria è determinata dal fatto che non si formano cose, ma persone. Come negli ospedali non si aggiustano cose, ma si curano persone. E allora sconcerta particolarmente che proprio dalla scuola derivino esempi così sfacciatamente contraddittori. L’assoluzione della scaltra insegnante dal punto di vista giuridico sarà ineccepibile: rimane l’evidenza reale, quella penosa, vergognosa contraddizione. E il risultato nefasto in termini di immagine di tutta la scuola italiana. Un’immagine raccolta - come fanno i cani da caccia con una preda ambita - dai giornali, a comprovare che sì, hanno ragione Ichino e Panebianco, Giavazzi e Galli della Loggia a puntare il dito su quanto siamo fannulloni; a chiedere provvedimenti immediati e - possibilmente - sistemi di reclutamento e di licenziamento più agili e desindacalizzati. Sarebbe bello se il ministro Fioroni - concentrandosi su quella che continua a sembrare a molti la prima delle emergenze da affrontare, invece di continuare a disperdere energie in provvedimenti scoordinati e spesso inopportuni - iniziasse a considerare la questione della professione docente come il fondamento sul quale costruire la nuova scuola, al di là delle parole d’ordine demagogiche di severità e dei provvedimenti di punibilità sommaria, delegati ai singoli dirigenti scolastici e al loro arbitrio. Che guardasse il problema da quel punto di vista organico - dalla formazione, al reclutamento, alla garanzia di una base salariale per tutti dignitosa e realmente commisurata al compito che viene richiesto agli insegnanti (riconosciuto nelle dichiarazioni, disconosciuto totalmente dai salari) - che consentirebbe da una parte l’accesso ad un lavoro appetibile e non di ripiego; dall’altra l’autentica esigibilità di prestazioni dignitose da parte di tutti gli insegnanti, l’incentivazione e il premio del merito, la stigmatizzazione - concreta, e non affidata alle cronache dei giornali o alle iniziative dei singoli dirigenti - di chi deroga alle proprie funzioni. Nell’ibrido del poco pagare poco dare (e poco esigere) in cui alcuni insegnanti sguazzano e di cui la politica e l’amministrazione approfittano, non è improbabile che si verifichino casi come quello di Viterbo; che, oltre ad alimentare le voci proterve e insistenti dei guru della chiamata diretta (no concorsi, no graduatorie: scelgano i presidi - secondo i propri criteri - chi far entrare e chi no) - ribadiscono tristemente (perché nella realtà, e non in una commedia di Goldoni) che vince il più furbo. E che quei fessi un po’ demodè che credono ancora nella propria funzione, nel mandato che la Costituzione ci affida, nelle tutele sindacali interpretate con quella serietà e rigore che conferiscono loro la caratteristica dell’inviolabilità, farebbero meglio a dare uno sguardo al mappamondo per decidere dove trascorrere - alla faccia del contribuente - il prossimo periodo di (finta) malattia: mi dicono che le Turks and Caicos in questo momento vanno per la maggiore. Io, però, sceglierei comunque Cuba.