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Unità-L'insegnante non è uno sceriffo

L'insegnante non è uno sceriffo Marina Boscaino Mozziconi di spinelli in un vano dove normalmente ci si ritrova a fumare. Uno studente della scuola con addosso 20 grammi di hashish: la cond...

29/06/2004
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l'Unità

L'insegnante non è uno sceriffo

Marina Boscaino

Mozziconi di spinelli in un vano dove normalmente ci si ritrova a fumare. Uno studente della scuola con addosso 20 grammi di hashish: la condanna del dirigente scolastico pone una serie di problemi che sarebbe ingiusto ignorare, facendo finta che non esistano. Chiunque abbia insegnato in una scuola superiore e sia entrato in contatto con la realtà giovanile non può ignorare il fatto che le droghe leggere siano sostanze di cui gli studenti fanno uso. Non tutti, non sempre abitualmente. Ma la droga leggera c'è, esiste, "si sente". E non tanto per il suo inconfondibile odore; quanto per l'allusione, più o meno velata, che emerge dai discorsi, dalle parole dei giovani. Quando si ha voglia di ascoltarle. Quando si ha voglia di non far finta di niente. Di fronte ad una simile realtà possiamo, noi insegnanti, noi educatori, assumere due atteggiamenti: stimolare la riflessione, coinvolgere gli esperti, spiegare, cercare di capire. Oppure sanzionare. Non mi è mai capitato di cogliere uno dei miei alunni in "flagranza di reato"; ma mi è capitato di essere convinta che alcuni facessero uso di droghe leggere. E di avere ragione. Perché, davanti a domande dirette, la risposta è stata affermativa. Mi è sembrato utile, in quelle circostanze, discutere in consiglio di classe, cercare un contatto - dove era possibile - con le famiglie, organizzare discussioni guidate, dibattiti, far elaborare testi sull'argomento e sulle proprie esperienze personali. E soprattutto parlare con i ragazzi. Rimasi scoraggiata quando un dirigente scolastico - coinvolto nella problematica - mi rispose che l'unica cosa da fare era "chiamare i carabinieri, sguinzagliare i cani". Perché, mai e poi mai, sarebbe dovuta entrare la droga nella scuola. Con quali effetti? Che le canne, poi, gli studenti avrebbero continuato a farsele, altrove, avendo peraltro perso anche la fiducia nei riferimenti adulti che si erano scelti. Quella reazione scomposta e, dal mio punto di vista, non condivisibile trova una spiegazione anche nel caso di Rho. Alla scuola si chiede di educare, di formare coscienze e cittadini, di tutelare lo sviluppo armonioso delle persone. Ma si chiede - a quanto pare - anche una inflessibile funzione di controllo. Come può un dirigente scolastico, o un insegnante, evitare che uno studente abbia con sé delle sostanze stupefacenti? Perquisendolo? Imponendogli di svuotare tasche e zaino all'entrata? Seguendolo ogni volta che va in bagno o per tutta la ricreazione? Una funzione di controllo, di polizia, nei fatti impraticabile e ideologicamente lontana anni luce dal ruolo che molti insegnanti si propongono di assumere per i loro studenti. È certo che la sentenza di Milano crea un precedente pericoloso, inasprendo automaticamente la tendenza di chi (anche a buon diritto) non desidera avere problemi; ma che dimentica che la scuola è un luogo di crescita delle coscienze che la tendenza alla repressione non promuove; che viene incentivata dalla conquista del rispetto attraverso l'autorevolezza, dalla riflessione, dalla discussione democratica, dalla empatia con chi abbiamo di fronte. Ad una scuola cui vengono tagliati fondi, da insegnanti che si arrabattano su spezzoni di cattedre per comporre il mosaico delle 18 ore, da classi il cui numero di alunni aumenta proporzionalmente alla necessità del ministro di tagliare le spese, da dirigenti scolastici oberati da incombenze di carattere burocratico-amministrativo si chiede (e si ottiene) un'opera di sensibilizzazione, di ascolto, di prevenzione sui problemi della nostra società. È il frutto, quest'opera, dell'impegno che molti di noi si sono assunti: interpretare in maniera corretta la propria funzione, a tutto campo, senza tirarsi indietro. Ma non è giusto chiederci di fare i gendarmi, i censori, gli inquisitori. Il lavoro che molte scuole italiane portano avanti sulla prevenzione delle tossicodipendenze è notevole. Riconoscerlo, dotandole di personale specializzato, rappresenta una richiesta quasi grottesca oggi come oggi, considerando la condizione in cui la scuola italiana si trova e i destini sciagurati che le si prefigurano grazie al Ministro. Ma è l'unica direzione per poter portare avanti il solo obiettivo perseguibile e che valga realmente la pena di perseguire: la creazione di uno sbarramento invalicabile e definitivo nei confronti delle droghe pesanti e di tutti i processi di degenerazione dei disagi giovanili.


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