Unità-L'ateneo di Firenze verso il blocco delle lezioni
L'ateneo di Firenze verso il blocco delle lezioni I docenti e i ricercatori: "Se vogliamo salvare l'insegnamento occorre fermare l'università" Diego Giorgi FIRENZE Lezioni sospese ...
L'ateneo di Firenze verso il blocco delle lezioni
I docenti e i ricercatori: "Se vogliamo salvare l'insegnamento occorre fermare l'università"
Diego Giorgi
FIRENZE Lezioni sospese o rinviate per almeno due settimane, è quanto è stato ipotizzato da docenti e ricercatori dell'Ateneo fiorentino come arma da scagliare contro il disegno di legge per il riordino della docenza universitaria del ministro Moratti, già approvato dalla commissione cultura della Camera. "Chi ha scritto questa legge o non conosce affatto il mondo accademico oppure vuole affossarlo" commenta amaro Massimo Grandi, ricercatore confermato della facoltà di Architettura. "Questa riforma è la logica conseguenza di un pensiero che alla teoria dell'evoluzionismo di Darwin voleva sostituire il creazionismo giudaico cristiano, "la scintilla divina"" ribatte Lino Centi, altro ricercatore di architettura. Il coordinamento dei docenti fiorentini, i lettori, il personale tecnico-amministrativo e le rappresentanze studentesche dell'ateneo, contro il decreto del ministro, hanno deciso di dichiarare lo stato di agitazione. Per il trenta settembre i docenti hanno convocato un'assemblea generale, aperta a tutte le componenti universitarie, in cui verranno decisi i tempi e le modalità della sospensione della didattica e delle altre possibili forme di lotta. "Se vogliamo salvare l'università occorre bloccarla - spiega Luciano Barbi, ricercatore confermato e titolare del corso di statica alla facoltà di Architettura e coordinatore dell'Andu per l'Ateneo di Firenze -. Non è nostra intenzione far saltare l'anno accademico o un intero semestre e in qualsiasi iniziativa che adotteremo prevarrà il senso di responsabilità soprattutto verso gli studenti e le loro famiglie. Se sospenderemo cercheremo di far capire a tutti i soggetti che ruotano attorno al mondo universitario lo scenario drammatico che andrà ad instaurarsi se il decreto verrà approvato dal parlamento". L'obbiettivo è quello di costruire in maniera ragionata e efficace un piano di lotta comune, una piattaforma di azione estesa e rappresentativa entro la quale racchiudere l'intero mondo accademico, dai docenti, ai ricercatori, agli studenti di ogni facoltà.
Due, in sostanza, i punti di scontro con il disegno di legge del ministro Moratti, sui quali poggia l'intera protesta del mondo accademico: la messa in esaurimento dei ricercatori universitari e la sua sostituzione con figure precarie, l'abolizione del tempo pieno che rischia, a detta dei docenti, di trasformare in maniera progressiva gli atenei in luoghi di secondo lavoro per professionisti. "Privare l'università italiana della linfa prodotta dal mondo della ricerca è un atto criminale, non solo per la didattica, ma per l'intera società civile - continua Barbi -. Stanno demolendo una struttura senza che all'orizzonte vi sia un'opzione sostenibile. Dietro al decreto legge c'è il nulla, e questo la dice tutta sull'attuale maggioranza". I più a rischio sono proprio i ricercatori che tra l'altro pagano, in maniera sostanziale, il blocco delle assunzioni che le precedenti finanziarie di fatto hanno imposto agli atenei di tutta Italia. Per loro si preannuncia, se il disegno di legge passerà in Parlamento, un futuro ancora più instabile. Per protestare contro questa situazione in molti atenei italiani i ricercatori si sono rifiutati di prendere affidamenti o supplenze oppure hanno deciso di non dare inizio ai propri corsi. È il caso di Pisa, dove per il momento i ricercatori hanno respinto tutte le cattedre vaganti, mettendo in forte crisi l'inizio del nuovo anno accademico. "Invece di investire sui giovani, l'università italiana se ne priva - spiega Barbi -. Con tutte le conseguenze del caso. Ad oggi i ricercatori, su scala nazionale, ricoprono 1\3 dell'attuale docenza. Se gli atenei si privano di questa figura è il caos. Corsi affollatissimi e l'obbligo per qualsiasi università di introdurre il criterio del numero chiuso. Insomma a me pare che dietro queste manovre governative ci sia un preciso disegno politico, un attacco alla qualità stessa della nostra università"