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Unità-L'altro buco di Tremonti: l'Università

L'altro buco di Tremonti: l'Università FABIO BACCHINI Il ministro del "buco inconfessabile" è uscito di scena, con la sua gestione disinvolta dei conti pubblici, con la sua prepotenza ...

20/07/2004
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l'Unità

L'altro buco di Tremonti: l'Università

FABIO BACCHINI

Il ministro del "buco inconfessabile" è uscito di scena, con la sua gestione disinvolta dei conti pubblici, con la sua prepotenza nel non fare mai chiarezza, con la sua irritante convinzione che l'unica cosa che conta è l'apparenza. È stato senza dubbio il ministro più rappresentativo dello stile politico berlusconiano. Avremmo potuto chiamarlo "ministro della Propaganda Economica", e non si sarebbe accorto del dileggio.
Accanto ai nodi degli ammanchi nelle casse dello Stato che sono venuti al pettine, vi sono alcune idee guida della sua conduzione dell'economia nazionale, che non sono state (purtroppo) la causa del suo allontanamento, ma sui quali vale la pena di riflettere.
Tremonti ha bloccato le assunzioni nella pubblica amministrazione nel 2003, e ha esteso questo provvedimento al 2004. Le anticipazioni non smentite sui suoi piani futuri dicono che era sua intenzione prolungare il blocco al 2005 e al 2006. Qualcuno ha idea di come degeneri un paese se, man mano che il personale pubblico va in pensione, i giovani non hanno la possibilità di subentrare?
Uno dei rami più colpiti da questa paralisi è l'Università. Il personale amministrativo non può essere rimpiazzato, e una sola persona deve fare il lavoro di quattro. I giovani che due anni fa avevano titoli e capacità per programmare una carriera universitaria sanno oggi di aver sbagliato tutto: la carriera universitaria in Italia non esiste più. Chi ha avuto la sfortuna di vincere un concorso negli ultimi due anni vive all'interno di una grande beffa: non può essere assunto né pagato, deve sopravvivere in altri modi, e non sa cosa sarà di lui. Come poteva un Ministro dell'Economia mostrare un maggior disprezzo verso l'istituzione universitaria? E come si può anche solo affermare che l'Università è importante per la vita culturale del paese, se poi se ne paralizza l'intera vita? Ha idea Tremonti di quanti studiosi siano stati costretti a "dimissioni" ben più amare delle sue, perché di fronte a un reclutamento universitario inesistente hanno dovuto piegare il capo e adattarsi a mestieri non congeniali o all'emigrazione in altre nazioni?
In pochi hanno parlato di questo scempio delle prospettive future del nostro Paese. Se l'Università è la macchina che produce le conoscenze su cui le generazioni future fonderanno le proprie capacità di stare al mondo e migliorarlo, allora la miopia di questa gestione economica ha deliberatamente calpestato il nostro avvenire. I vincitori di concorso non assunti sono un popolo pieno di occhiaie e di rassegnazione, di cui nessuno parla, che si scambiano e-mail di non decollante protesta. Intanto, le Università languono, e vivono di ciò che resta: professori in zona pensionamento e studenti giovanissimi. Nei dipartimenti non ci sono né i trentenni né i quarantenni: e anche i cinquantenni cominciano a scarseggiare. Nessuno sta attualmente facendo palestra per essere domani un bravo professore. Chi saranno i docenti di chi oggi frequenta le scuole elementari?
Si è stati sensibili (ma poco) soltanto alla "fuga dei cervelli", e forse solo perché è un'espressione suggestiva. Supponendo che fossero gli unici casi davvero urgenti, il Governo ha provveduto ad assumere soltanto i ricercatori vincitori di concorso, dando così prova di una totale ignoranza del funzionamento dell'Università italiana. Si è dato per scontato che chi vince un posto superiore a quello di ricercatore (un posto da professore di prima o di seconda fascia) ha sicuramente già un ruolo (e quindi uno stipendio) nell'Università, e quindi "può aspettare". Niente di più falso. Molti neoprofessori sono tanto disoccupati quanto i neoricercatori, ma arbitrariamente non sono stati assunti.
I ministeri dell'Istruzione e dell'Economia hanno promesso alle Università un certo numero di deroghe dal blocco generalizzato, fra l'altro mettendole nella condizione di azzuffarsi tra loro per accaparrarsele. Le Università si sono affannate a richiederle. In alcuni casi è questione di vita o di morte per le Facoltà: senza nuovo personale non hanno i requisiti minimi per andare avanti (assurdamente, si tratta di requisiti richiesti con severità proprio da chi con l'altra mano ne rende impossibile la soddisfazione). La risposta doveva pervenire il 15 maggio, ma non è mai arrivata. È questo un altro bel capitolo delle imprese del Ministro dimissionario: l'indifferenza verso le regole, lo spregio più totale. Ben più della espunzione dalle nostre vite della sua voce da adolescente che non lascia copiare le versioni, deve entusiasmarci la possibilità che stia per terminare l'era in cui gli ordini pronunciati da quella voce erano eseguiti con solerzia da funzionari incuranti delle loro raccapriccianti conseguenze.


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