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Unità: Ispesl occupato: «Senza di noi chi farà i controlli negli impianti?»

L’occupazione continua. Oggi assemblea di tutti i precari del Coordinamento checomprende anche Isae, Isfol e Ispra. Parla una dei 500 precari dell’Ispesl: «La ricerca deve restare autonoma». Quanto ci costa non investire.

09/06/2010
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l'Unità

Laura Matteucci
«Ogni giorno si piangono morti e feriti, si invoca la sicurezza sul lavoro, e poi smantellano l’unico ente che proprio sulla sicurezza fa ricerca, formazione, e che organizza i controlli sul territorio. Dovrebbero potenziarlo, altro che chiuderlo. C’è bisogno di soldi? Tutti sanno che per ridurre la spesa pubblica non servono i tagli con l’accetta, ma un serio sistema di indirizzo e controllo». Valentina Meloni è una dei circa 500 precari dell’Ispesl, l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, che la manovra di Tremonti vuole sciogliere nell’Inail. Ha 29 anni, un contratto a progetto da mille e 50 euro al mese rinnovato da sei anni ogni sei mesi, anche se il progetto di ricerca è sempre lo stesso: la pianta organica dell’Ispels prevede 1400 persone, ma in realtà gli assunti sono 800 perché non si indicono concorsi dal 2002 pur avendo l’autorizzazione per farli, e a coprire i vuoti ecco pronta la folla di co.co.co. L’accorpamento all’Inail, altro istituto in cui si prevedono tagli al personale, potrebbe significare restare a casa. Loro non ci stanno, continuano ad occupare l’ente perché il Parlamento ingrani la marcia indietro. E hanno molte ragioni da far valere.
LE RAGIONI PER NON CHIUDERE L’Italia investe in ricerca e sviluppo meno dell’1% del pil, ben lontano dal 3% deciso da Lisbona. L’Ispesl, commissariato da 2 anni dalla stessa persona che l’ha presieduto per i 30 precedenti, Antonio Moccaldi, sopravvive con 57 milioni di stanziamento statale e 37 di autofinanziamento che arriva dalle varie attività di servizio. A conti fatti (non da Tremonti, che non ha fornito alcuna cifra, ma dalla Cgil), il risparmio dato dalla soppressione sarebbe di alcune migliaia di euro. Mentre, sempre a stare sulle nude cifre, tra mancati prevenzione e controlli, l’assenza di sicurezza costa allo Stato il3%del pil ogni anno, considerando le ricadute sul servizio sanitario e sugli assegni di invalidità. «Se lasciano a casa i precari - dice Valentina - chi controllerà impianti e attrezzature nei luoghi di lavoro, chi lavorerà nei 37 dipartimenti territoriali? E chi farà ricerca sulle malattie invalidanti? L’Ispesl è autonomo, ente terzo rispetto agli interessi sia delle imprese sia delle parti sociali, e l’autonomia nella ricerca è una valore da salvaguardare ». Senza contare che l’istituto rientra già in un piano di riordino degli enti statali voluto dal governo, piano che adesso viene bypassato all’improvviso. «Un conto è razionalizzare, un altro cancellare con un tratto di penna - dice Gabriele Giannini, responsabile ricerca per la Cgil - Per questo governo ricerca e cultura sono d’impaccio». E Paola Agnello Modica, segretaria confederale Cgil, ricorda che «la sicurezza è già depotenziata dal Testo Unico ». «Eppure, oltre alle morti bianche, ci sono migliaia di infortuni che non vengono nemmeno denunciati come tali, perché il datore di lavoro spesso “invita” a farli passare come incidenti domestici o stradali, il che peraltro significa scaricarne i costi sulla collettività»


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