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Unità: «Io non crollo». Universitari già pronti a ricominciare

«Io non crollo» è lo slogan scelto da universitari e docenti per far conoscere la voglia di ricominciare. Sono 27mila gli iscritti all’Ateneo. Alcune sedi, come Medicina, si sono salvate, e possono ospitare le lezioni.

17/04/2009
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l'Unità

MARCO BUCCIANTINILoro non crollano. «Ma non lasciateci soli» - chiedono gli studenti. E con loro i professori, il personale non docente, gli sfollati, gli amministratori, la gente che vive qua, e dorme sotto il cielo nudo e ci spera perché l’Università dell’Aquila è come il Gran Sasso che domina tutto, ovunque ti giri. È la base per ricominciare, è il cemento armato per ricostruire: 27 mila iscritti, quasi 20 mila fuori sede, quindi affitti, spese, soldi, istruzione, cultura. Democrazia, perché studiare all’Aquila costa poco, con 100 euro si trova un posto in camera doppia.

«Vorrei fare architettura» - raccontava la «maturanda» Ilaria, «ma a Roma non posso andare, mio padre non può spendere quei soldi, mentre qui posso continuare a studiare». L’Università per tutto, ma intanto per gli aquilani, perché l’Ateneo occupa anche mille e 500 persone, quasi tutte del posto.

per difendersi

Per difendere questo, per difendere loro stessi, studenti e dipendenti bazzicano le tendopoli con la maglietta «Io non crollo», scritta in stampatello maiuscolo, sotto lo stemma dell’Università. Così vestiti sono stati a Coppito, al dipartimento di Scienze, dove il rettorato ha trovato una dimora d’emergenza. Sono stati ieri ad Ingegneria, su in montagna, la facoltà a 1.200 metri d’altitudine, sopra Pianola. Buone notizie, l’anagrafe degli studenti è stata recuperata e sarà messa online. Entro metà maggio si dovrebbe riprendere a fare lezione, in qualche modo (solo la sede di Medicina è prossima all’agibilità,e potrebbe ospitare anche altri corsi di laurea). Le sessioni d’esame estive saranno rispettate, assicura la segreteria. «Noi possiamo studiare anche nelle tende» - scrivono sul blog del sito universitario i ragazzi fuori sede, pronti a tornare, «anche se non ci sono case disponibili». Sono i laureandi di ingegneria, «nessuno di noi vuol trasferirsi, vogliamo laurearci all’Aquila» - è l’atto d’amore per la città ferita.

la specialistica

Fra loro, c’è Federico Samuenti, che è in dirittura d’arrivo, alle prese con la Specialistica. Sta appresso alla Protezione civile, che se ne serve per le ricognizioni degli edifici della zona, per valutare l’agibilità. «In pratica faccio tirocinio, spero mi serva per il curriculum». È accampato al campo adiacente la sua facoltà, lassù sui monti: «La struttura ha retto – fa, con l’occhio dell’ingegnere civile che già difende la categoria – mentre sono caduti i tramezzi, schiacciati dai lucernari. I calcoli furono fatti bene, l’arredo no».

Nella foto spettinata davanti alla sede di Scienze, quando quelli che non crollano si sono messi in ordine come una squadra di calcio, i più bassi davanti, i più alti dietro, e il vento scompigliava le pose, Michela Tuzzi è la terza in seconda fila. «Vengo dalla vale del Roveto, quella che scende verso Sora. Mio fratello fa l’operaio nelle ferrovie, a Milano. I suoi amici sono tutti disoccupati, passano le giornate alle macchinette del videopoker. Dalle mie parti, o studi o non sai che fartene del tempo. L’Università dell’Aquila per tutto il nostro povero territorio è una possibilità, una speranza». Non crollano, ma diamo loro una possibilità.


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