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Unità: Innovazione e ricerca per battere la crisi economica

l’innovazione di cui, a loro volta, ricerca scientifica e tecnologica, progresso tecnico, dinamismo organizzativo sono gli assi fondamentali

01/03/2008
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l'Unità

Laura Pennacchi

Il grande cambiamento che il Partito democratico prospetta all’Italia ha come chiave centrale l’innovazione di cui, a loro volta, ricerca scientifica e tecnologica, progresso tecnico, dinamismo organizzativo sono gli assi fondamentali. L’innovazione, infatti, costituisce l’unico modo con cui l’Italia può da un lato fronteggiare le minacce di recessione che si stanno annidando nell’economia internazionale, dall’altro rispondere al suo problema strutturale più impellente e cioè l’arresto della dinamica della produttività. Tenendo conto degli squilibri macroeconomici a livello mondiale (di cui le turbolenze dei mercati finanziari sono una testimonianza) è necessario ideare politiche anticicliche di tipo neokeynesiano, che da un lato intervengano sulla domanda interna - per consumi, elevando i redditi, e per investimenti, specie in Ricerca e Sviluppo - dall’altro restituiscano alle leve di governo dell’economia piena efficacia. L’anomalo andamento della produttività in Italia è troppo connesso all’anomalia concernente la bassa attitudine a investire per non segnalare la gravità delle questione degli investimenti. Dal 1995 al 2001 la crescita annuale della produttività oraria nell’industria manifatturiera è stata del 4,5% negli USA, del 4,6 in Francia, del 2,4 in Germania e solo dello 0,9 in Italia. Dal 2001 al 2005 il prodotto per unità di lavoro standard è salito del 2,4% in Francia, del 3,7 in Germania, dello 0,6 in Spagna, mentre in Italia scendeva mediamente dello 0,4 all’anno. La produttività totale dei fattori - vero indicatore della capacità di un sistema di valersi di progresso tecnico - fino alla fine degli anni ’90 sempre elevata in Italia pur con un trend decrescente, dal 2000 al 2004 ha fatto registrare un decremento medio dello 0,6 all’anno, a fronte di incrementi dell’1,8 in Francia e dello 0,7 in Germania. Questo anomalo andamento della produttività italiana è correlato ad altre anomalie. La quota italiana sul Pil delle spese in Ricerca e Sviluppo, invariata da un paio di decenni, è ferma all’1,1%, con una componente privata molto bassa, pari allo 0,5%. Nell’Europa a quindici, che presenta una media del 2%, il nostro paese è agli ultimi posti. La Germania ha una quota di spese in Ricerca e Sviluppo sul Pil del 2,5% (1,75 per le imprese), la Francia del 2,2% (1,4 per le imprese), gli Usa del 2,7 (1,9 per le imprese), il Giappone del 3,1 (2,2 per le imprese). Ciò in Italia è connesso da un lato all’accumulo di posizioni di rendita consentite da un’appropriazione esclusiva dei guadagni residui di produttività (si pensi alle grandi imprese che hanno abbandonato l’industria e si sono rifugiate nei lucrosi settori delle utilities), dall’altro all’esplosione delle disuguaglianze, inevitabile quando gli utili non reinvestiti aumentano dell’8% e i salari crescono solo quanto l’inflazione (il 2%), cioè rimangono stagnanti.
Da quando nel 2000 l’Europa varò la stragia di Lisbona, la globalizzazione ha subito un’accelerazione e ricerca e conoscenza sono diventate l’elemento chiave delle nuove dinamiche globali. Basti ricordare che, mentre gli scambi di prodotti manifatturieri ad alto contenuto tecnologico mantengono ritmi di crescita maggiori - oscillanti dal 59 all’81% - di quello, pur elevato (pari al 39%), dei prodotti a medio contenuto e i brevetti ad alta tecnologia passano dal 40 al 45% del totale, aumentano le quote di mercato nelle esportazioni di prodotti high-tech dei paesi asiatici, soprattutto della Cina la cui incidenza passa dal 3,8 all’8,3% dal 2000 al 2003. In questo quadro è puerile pensare di mettere la testa sotto il cuscino invocando protezionismi e dazi, come fa il ricostituito duo Berlusconi-Tremonti. Il punto è che, mentre i paesi dell’Unione Europea sono riusciti ad arginare un preoccupante processo di declino tecnologico, l’Italia arretra e questo problema strutturale non può essere affrontato con palliativi ma con politiche altrettanto strutturali. Le nostre quote di mercato sulle esportazioni di prodotti manifatturieri sono scese dal 4,8% del 2001 al 4,6 del 2004, con una contrazione complessiva del 3% in controtendenza con la sostanziale tenuta della quota della Europa a quindici, ma nel 2007, grazie anche alla politica macroeconomica prorisanamento e procrescita del governo Prodi, le esportazioni sono tornate a salire. Peggiore, e non corretto negli ultimi anni, è, però, l’andamento delle esportazioni italiane di prodotti hig-tech, in discesa dal 2,1 nel 2001 all’1,9 nel 2004, un decremento dell’8,5% a fronte di una Ue che flette solo del 6%. L’Europa, peraltro, nell’incidenza sul totale dei brevetti mondiali sopravanza (con il 38,28%) gli Usa (che detengono il 30,35%), grazie soprattutto al contributo di Svezia, Finlandia, Austria, mentre l’Italia nel triennio 2001/2003 scende all’1,77 dal 2,06% di circa vent’anni prima (per di più, risultando maggiori gli autori italiani che partecipano a brevetti esteri di quanti autori esteri partecipino ai brevetti italiani, si mostra che esportiamo capacità brevettali più di quanto siamo in grado di importarne).
Invertire queste tendenze e rilanciare l’innovazione è, dunque, cruciale per sostenere la crescita e alimentare la produttività, facendo leva su giovani, donne, patrimonio ambientale e culturale, le risorse più preziose e al tempo stesso più inutilizzate che l’Italia oggi possiede. Le «costanti» che altrove spiegano come le rotte siano state invertite e la Ricerca e Sviluppo rilanciata sono numerose, ma tutte pongono in evidenza un chiaro orientamento ad operare con significativi interventi pubblici e a non limitarsi ad usare la leva dei trasferimenti monetari e dei benefici fiscali (che sono trasferimenti monetari indiretti). Tali costanti indicano altrettante priorità che l’Italia deve darsi: 1) conseguire livelli elevati di spesa in R&S, una massa critica tale da consentire di affrontare anche le specifiche soglie intrinseche al lancio di grandi progetti strategici nei campi delle scienze della vita, della materia, dell’informazione; 2) non perseguire processi solo imitativi e di diffusione ma realizzare forti scambi tecnologici intersettoriali; 3) elaborare uno spettro di possibili impegni progettuali; 4) dotarsi di un forte presenza e accumulo di capacità scientifico-tecnologiche facendo leva sul rinnovamento e il rafforzamento delle istituzioni di ricerca, pubbliche e private, che in Italia presentano ancora straordinarie punte di eccellenza; 5) partecipare responsabilmente con strutture pubbliche ai processi innovativi diffusi, oltre che di ricerca avanzata, e di formazione, 6) favorire l’interiorizzazione delle conoscenze all’interno delle imprese, con valori crescenti della spesa e degli addetti in R&S; 7) sollecitare l’elevamento dell’istruzione generale di base, puntando a oltre il 20% di popolazione lavorativa con istruzione secondaria, nonché a una triplicazione del numero di ricercatori; 8) predisporre sistemi flessibili di finanziamento della R&S.


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