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Unità-Il sogno di Berlusconi lo paga il pubblico impiego

Il sogno di Berlusconi lo paga il pubblico impiego Niente contratto per ridurre le imposte. Il premier mostra un sondaggio: "La gente vuole il taglio dell'Irpef, non dell'Irap" ROMA Pare...

18/11/2004
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l'Unità

Il sogno di Berlusconi lo paga il pubblico impiego

Niente contratto per ridurre le imposte. Il premier mostra un sondaggio: "La gente vuole il taglio dell'Irpef, non dell'Irap"

ROMA Pare che sia stato Guido Crosetto, il relatore della Finanziaria nonché coordinatore di FI in Piemonte, a telefonare al premier chiedendogli di non rinunciare all'Irpef. Pena la scomparsa del partito. Non c'è voluto molto a convincere Silvio Berlusconi: senza lo spot delle aliquote FI muore. Così, contrordine: giù l'Irpef dal 2005. Nel giro di pochi giorni si capovolgono le priorità fiscali. Per Silvio berlusconi, che quanto a capovolgimenti è maestro, non c'è nessuna retromarcia. "Sto perseverando nella direzione prevista - dichiara dopo una giornata campale di incontri al calor bianco con gli alleati di An - Sono sempre più convinto che la prima tappa debba essere la riduzione della richiesta dello Stato ai cittadini". Una settimana fa avevano detto il contrario: non ci si può permettere l'Irpef, si comincia dalle aziende per favorire la competitività. A questo punto ogni parola in più perde credibilità. Proprio quello che non ci vuole quando si annuncia uno sgravio fiscale per far ripartire l'economia. Se non si crede fino in fondo che l'operazione è sostenibile, i soldi risparmiati sul fisco non andranno ai consumi ma si metteranno da parte. In altre parole, non si esce dalla paralisi.
Sulla nuova rotta verso l'Irpef però restano parecchi nodi da sciogliere. Primo: An non ci sta a perdere la faccia, dopo essersi rivenduta a destra e a manca il taglio Irap per le piccole imprese e per il Mezzogiorno, le detrazioni per la famiglie, i bonus bombi e nonni. Adesso è tutto da rifare. Il problema per la verità è anche di Domenico Siniscalco, che sulla scelta per l'Irap aveva puntato per tranquillizzare i mercati (parola di Berlusconi) sul fronte internazionale e Bankitalia su quello interno. Cancellare le aliquote dall'agenda fiscale gli aveva dato la possibilità di ridurre di parecchio la manovra fiscale (da 6 miliardi promessi - dopo i 12 propagandati prima delle elezioni - era passata a tre, due di Irap e uno di detrazioni alle famiglie), rassicurando gli osservatori sulla tenuta del bilancio italiano. Una mossa prudente, vista anche la doccia fredda arrivata da Bruxelles sul Patto di stabilità: l'Europa non consentirà elasticità ai Paesi con un debito che supera il 100% del Pil. Anzi, chiederà di ridurlo di almeno tre punti all'anno. Un diktat che equivale ad una camicia di forza peggiore di quella decisa a Maastricht. A questo punto quali margini ci sono per la riduzione fiscale?
E qui si innesta il secondo nodo: il più importante, quello che non si era sciolto sull'Irap e difficilmente si scioglierà sull'Irpef. Le coperture. Un punto su cui si è aperta prima la frizione con i tecnici della Ragioneria, poi ancora con An. A definire bene i termini del problema è Ignazio La Russa. "Non c'è ancora una soluzione neanche lontanamente positiva che accontenti l'esigenza di tagliare le tasse a tutti - dichiara il coordinatore di An - e quella di non creare disagi sociali in strati della popolazione che non possono sopportarne altri". In altre parole, se si vogliono tagliare le tasse a questo punto si devono tagliare servizi essenziali. Scuola, assistenza, sanità, trasferimenti al Mezzogiorno. Oppure si puà scegliere di operare sulla spesa corrente, dunque sugli aumenti per il pubblico impiego. Tutte voci politicamente pesantissime per un partito come quello di Fini. E naturalmente dolorose per il Paese. È su questo che la "quadra" non si trova ancora. E forse non si troverà mai. Solo per reperire quei tre miliardi di Irap e famiglie si erano eliminati nell'ordine: il fondo per la disoccupazione, i trasferimenti alle imprese nelle aree sottosviluppate (-500 milioni), i crediti d'imposta su investimenti e occupazione al sud (-600 milioni), i fondi per la programmazione negoziata (-200 milioni). In più si era dovuto posticipare il condono edilizio (due miliardi). Un "pacchetto" che aveva fatto infuriare Gianfranco Miccichè, visto il prezzo altissimo pagato dal Mezzogiorno. Inoltre aveva provocato anche l'insoddisfazione di Confindustria. Se oggi si cerca il doppio di quella cifra per accontentare Berlusconi, i tagli saranno ancora più dolorosi. Da questo cul de sac non si esce.
b. di g.


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