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Unità: Il riformismo degli under 30

I dati elettorali della Camera raccontano «una generazione consapevole di avere davanti a sé un futuro più incerto e povero di quella che l'ha preceduta. I giovani hanno detto no alla precarizzazione delle proprie esistenze».

29/04/2006
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l'Unità

Marina Boscaino

I dati elettorali della Camera raccontano «una generazione consapevole di avere davanti a sé un futuro più incerto e povero di quella che l'ha preceduta. I giovani hanno detto no alla precarizzazione delle proprie esistenze». Andrea Ranieri, neo senatore e da anni responsabile per i Ds di scuola e università, aggiunge ancora che il voto dei giovani è il segno della difesa dei più importanti spazi - scuola e università - in cui si formano le opinioni della persona. Spazi che non si sono rassegnati alla tirannia dei media, in un paese che tende pericolosamente a identificare la cittadinanza con un moralismo individuale e proprietario.

Le prime elaborazioni sui risultati elettorali in possesso di Cgil e Ds confermano che il mondo della scuola il 9 e 10 aprile ha preferito il centrosinistra; la convergenza di consensi su un tema tradizionalmente poco considerato è una speranza e una responsabilità. «Nel 2001 ci sono stati problemi con gli insegnanti: il concorsone, la riforma dei cicli. Ma negli ultimi 5 anni i lavoratori della scuola hanno toccato con mano il vero pericolo: lo svuotamento della scuola pubblica, la sua riduzione in servizio a domanda individuale, l'inserimento di una logica di mercato antitetica alla scuola». Ranieri osserva che durante la campagna elettorale scuola e università sono stati i temi che hanno suscitato maggiore partecipazione, che hanno appassionato di più. Come si spiega allora la solitudine nella quale specialmente il mondo della scuola si è spesso trovato? «Condivido pienamente quanto affermato dall'economista Marcello De Cecco su La Repubblica di domenica. Indicando nei ministeri economici e in quello dell'Istruzione e dell'Università i nodi nevralgici della politica del governo di centrosinistra, ha auspicato che essi vengano affidati a leader politici di massimo prestigio. Sostenendo che si tratterebbe di un segnale estremamente significativo, per l'enorme numero di lavoratori e per la società civile. De Cecco ha parlato di emergenza istruzione e ha sostenuto che ci si gioca il futuro con un sistema educativo adeguato. È importante che tale affermazione venga da un economista». Porre la centralità delle politiche dell'istruzione significa individuare una gerarchia di interventi, che vanno affrontati da subito, con realismo e costanza: l'attivazione di 3000 asili nido, specie al sud e la generalizzazione della scuola dell'infanzia; la rottura definitiva con il sistema duale (formazione professionale o istruzione), provvedendo nel tempo più breve possibile all'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni nella prospettiva di portare la stragrande maggioranza dei ragazzi italiani al diploma; mettere in grado le scuole di funzionare meglio: i fondi per l'autonomia sono diminuiti del 40%, limitando e in alcuni casi mettendo a repentaglio la sopravvivenza quotidiana delle scuole; la ricostruzione dell'organico funzionale.

«Abbiamo davanti a noi - continua Ranieri - due problemi seri: il precariato (che è strumentale esclusivamente ad un'architettura rigida, che dispone un numero fisso di ore per una determinata disciplina e non ad una scuola che lavori attivamente e con successo su un proprio progetto educativo); e quello della mancanza di insegnanti - specie in alcune classi di concorso - che si verificherà tra qualche anno, a causa dell'allontanamento di molti docenti, per stanchezza o per limiti di età. Sta per andare in pensione la generazione del '68 che, nel bene e nel male, ha sopperito con la propria volontà alle ristrettezze del sistema scolastico».

Risulta fondamentale, allora, riflettere sul tema delle formazione dei nuovi insegnanti e della riqualificazione dei vecchi, di quelli che rimarranno. Il problema della valorizzazione del ruolo sociale va affrontato sia in termini economici che culturali. Bisogna rimodulare il rapporto scuola-società, individuando per la scuola maggiori spazi di ricerca. La scuola, l'università e la loro funzione educativa devono essere modi di ripensare la società: se continuano a rimanere gli unici luoghi di discussione, continueranno ad essere marginalizzati. Il riformismo dall'alto è morto. E la speranza che scuola e università possano incidere sui processi decisionali del nuovo governo e mettere a disposizione energie ed esperienza è avvalorata dal fatto che i temi e i problemi dell'istruzione, della formazione e della conoscenza abbiano portato ad un accordo rapido nella coalizione. La storia di questi 5 anni, poi, ci ricorda che proprio in difesa della scuola pubblica la società civile ha organizzato la forma più significativa di resistenza: si pensi alla mobilitazione per il tempo pieno e per l'obbligo scolastico.

Il fatto però che quel movimento, quella passione di resistenza e di partecipazione ai destini della scuola pubblica siano stati recepiti tiepidamente da mondo politico e sindacato ha destato disorientamento, delusione. «Il riformismo vero ha bisogno di movimento - osserva Ranieri . Il movimento sul tempo pieno è stato capace di collegare la difesa degli interessi immediati alla difesa di un'idea di scuola. C'è stato, allora, forse un eccessivo rispetto per l'autonomia dei movimenti e delle persone, che ha dato luogo a equivoci, incomprensioni. Ma la conferma che il voto abbia considerato prioritari scuola e università ci fa ritenere fondamentali quelle energie, quella vigilanza». La sintesi minimalista di familismo amorale e mercato targata Moratti ha evidentemente fallito. Restituire centralità ai temi della conoscenza, della formazione, della ricerca e investire in una scuola del sapere è il primo e più forte segno della ricostruzione del Paese.

Investire sulla scuola e sull'università significa investire su crescita e coesione sociale


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