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Unità-Il Razzismo che Cresce tra i Giovani

Il Razzismo che Cresce tra i Giovani Un allarmante studio della Sapienza Simone Tedeschi ROMA Un ragazzo italiano su 5, fra i 14 e i 18 anni, mostra atteggiamenti di evidente rifiut...

21/03/2005
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l'Unità

Il Razzismo che Cresce tra i Giovani

Un allarmante studio della Sapienza

Simone Tedeschi

ROMA Un ragazzo italiano su 5, fra i 14 e i 18 anni, mostra atteggiamenti di evidente rifiuto verso le minoranze culturali. È questo uno dei preoccupanti risultati che emergono da un'indagine sulla diffusione dell'intolleranza fra i giovani italiani. Condotta da Enzo Campelli - docente di Metodologia delle scienze sociali all'Università La Sapienza di Roma e direttore del Dipartimento di ricerca sociale e metodologia sociologica G.Statera - la ricerca è stata commissionata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e sarà presentata a Firenze oggi, in collaborazione con il Comune e con l'Indire, l'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa
Abbiamo deciso di dedicare una parte significativa dei contributi provenienti dall'otto per mille dell'Irpef a un'iniziativa tesa a capire e combattere il razzismo" spiega Saul Meghnagi, che per l'Ucei ha curato il progetto della ricerca. Che affronta l'atteggiamento dei giovani italiani nei confronti delle minoranze in genere, ma si concentra su tre gruppi in particolare: i musulmani, gli extracomunitari e gli ebrei.
Non si tratta di un semplice sondaggio, ma di uno studio approfondito e complesso basato su interviste a 2200 giovani in oltre 100 comuni in tutta Italia. "Non siamo andati solo nelle grandi città" spiega Campelli "ma anche in piccoli paesi di tremila abitanti. E abbiamo intervistato non solo i ragazzi che frequentano le scuole o inseriti nel mondo del lavoro, ma anche quelli che non fanno parte dei circuiti tradizionali".
Razzismo senza confini culturali. Il dato che colpisce maggiormente i ricercatori è come le posizioni di ostilità siano diffuse e trasversali fra ragazzi appartenenti a sfere sociali diverse: "Mentre fino a qualche anno fa esistevano ambienti culturali, sociali , ideologici, politici, relativamente immuni da atteggiamenti di intolleranza, ora sembra che un certo livello sia comunemente accettato, che si trovi anche in ambienti in cui non te lo aspetteresti" continua Campelli "abbiamo avuto delle grosse sorprese: abbiamo riscontrato nei ragazzi che si dicono di estrema sinistra una forte ostilità verso gli ebrei. Certo, l'intolleranza è più percepibile fra i ragazzi di destra, ma lì dove emerge fra i ragazzi di sinistra è nei confronti degli ebrei e non di altre minoranze". Non si tratta dell'unica sorpresa: i ragazzi religiosi sono quelli che mostrano la minore propensione all'accoglienza. "Questo può significare che non vedono la religione come un terreno su cui dialogare, ma come uno steccato per affermare con forza la propria identità".
Il blocco indifferente. Ma veniamo ai risultati. Quale atteggiamento hanno i giovani italiani nei confronti delle minoranze? Sono solo il 23% coloro che rientrano nella fascia della valorizzazione, ritengono cioè che le differenze costituiscano un patrimonio per tutti e che ogni cultura abbia molti elementi importanti da trasmettere alle altre. Il 35% rientra nella categoria della accettazione pragmatica: ritiene che le differenze esistano, che siano un dato di fatto, né un bene, né un male. Quasi un ragazzo su cinque viene classificato nella fascia dell'umanesimo antidifferenzialista, considera le differenze come una fonte di separazione e ritiene che quindi, per raggiungere la meta ideale di un'uguaglianza completa, debbano essere superate.
Circa il 14% degli intervistati rientra nel gruppo degli ostili e ritiene che ci si debba invece adeguare alla maggioranza e che le differenze delle minoranze debbano essere relegate alla sfera privata. La categoria della negazione differenzialista, limitata all'8%, presenta con maggior vigore i tratti degli ostili, tuttavia i ragazzi che rientrano in questa fascia non sono solamente ostili a ogni interpretazione positiva delle differenze, ma sono favorevoli a una separazione fra i diversi gruppi e stabiliscono in modo forte una gerarchia fra le diverse culture.
Semplificando, quindi, se aggreghiamo il gruppo dei pragmatici e dei valorizzatori, possiamo affermare che circa il 58% dei ragazzi, sia pure con intensità notevolmente diverse, non considera negativamente la presenza di culture diverse. È la parte restante che, pur con motivazioni e livelli diversi, mostra una forte difficoltà nella convivenza con culture diverse dalla propria.
Bene-Male. "A tanti anni di distanza dalla guerra qualcuno poteva ritenere superato il problema del razzismo. Questa ricerca mostra come non lo sia. Non credo si possa parlare di un ritorno, perché credo che in realtà non sia mai scomparso" afferma Amos Luzzatto, presidente dell'Ucei. "Certo, dopo Auschwitz c'è un certo pudore nel manifestarlo apertamente. Ma nel periodo in cui viviamo i termini dello scontro stanno diventando sempre più una lotta fra Bene e Male intesi in termini assoluti. Oggi nessuno obietta più sul fatto che il segretario di Stato americano sia una donna di colore e oggi è evidente a tutti come non sia possibile sostenere teorie relative alla superiorità razziale. Ma attenzione: il parlare dell'altro utilizzando il concetto di Bene e Male in termini assoluti non è tanto distante dal razzismo biologico".
Extracomunitari, Shoah... È quando si scende nello specifico che i pregiudizi emergono con maggiore chiarezza. Più del 50% degli intervistati crede che "gli extracomunitari rendano insicure le nostre città" e "alimentino la prostituzione". Circa il 50% crede che "stiano diventando più di noi". Più del 50% crede che i musulmani abbiano "leggi crudeli e barbare" e che "sostengano il terrorismo internazionale". Circa un ragazzo su cinque conviene - sia pure con diversi gradi di convinzione - con l'affermazione che "quanto si dice sulla Shoah sia frutto di un'esagerazione" e che "tutti gli ebrei dovrebbero tornarsene in Israele".
"Badate bene: l'affermazione è ancora più grave di quanto potrebbe sembrare" avverte Campelli: "Il termine usato, che i ragazzi condividono è tornare, non andare. Significa che coloro che approvano questa affermazione ritengono che gli ebrei, nonostante risiedano in Italia da tempo immemorabile, non siano mai stati parte di questa terra".
Alcuni risultati mostrano come la disinformazione, come la scarsa conoscenza dell'altro sia piuttosto diffusa: circa il 7% dei ragazzi ritiene che il problema più rilevante nello sposare un partner ebreo sia la diversa lingua parlata. Ma secondo Campelli spiegare certi atteggiamenti dei ragazzi attribuendoli, come spesso accade, solo a una mancanza di conoscenza è un po' una semplificazione: "In generale è vero che i ragazzi che provengono da famiglie più attrezzate culturalmente manifestano meno questi atteggiamenti, ma è una relazione debole, piena di ondeggiamenti" chiarisce il reponsabile della ricerca. "Bisogna impegnarsi in maniera non semplicistica sul problema. Non basta l'informazione, bisogna impegnarsi in pratiche di solidarietà e accoglienza e questo non può essere delegato solo alla scuola. Certo, la scuola dovrà fare la sua parte, ma esattamente come ognuno di noi".
Simone Tedeschi


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