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Unità: Il protocollo che non trova pace

dopo le lamentele della Confindustria, per le correzioni operate dal Consiglio dei ministri allo stesso protocollo, dopo i malumori della Cisl, ecco la denuncia aspra di Guglielmo Epifani

14/10/2007
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l'Unità

Non è ancora finita. Sembrava che il protocollo sul welfare, approvato da oltre cinque milioni di lavoratori, avesse posto fine alle polemiche, almeno in una certa misura, se non tra le diverse parti politiche, almeno tra le parti sociali. E invece dopo le lamentele della Confindustria, per le correzioni operate dal Consiglio dei ministri allo stesso protocollo, dopo i malumori della Cisl, ecco la denuncia aspra di Guglielmo Epifani. Che cosa sarebbe successo?

Nel complicato lavoro di traduzione e stesura dei diversi punti enunciati nel protocollo e nel corso del loro passaggio nel dispositivo di legge, sarebbero spariti, secondo la Cgil, alcuni elementi fondamentali.
Essi riguarderebbero non quisquilie ma aspetti che rappresentano alcuni dei risultati illustrati dai sindacati nel corso delle assemblee. Sarebbero così venuti meno alcuni degli argomenti che hanno favorito l’affermazione, per oltre l’80 per cento dei votanti, del “Si”. Tra questi risultati, ad esempio, la misura che permetteva ai giovani, ai precari, di arrivare ad una pensione che fosse pari al 60 per cento del loro ultimo stipendio. Questa ed altre cancellature sarebbero avvenute per responsabilità dei tecnici preposti al lavoro di traduzione del protocollo in legge. La cosa davvero curiosa consiste nel fatto che nel Consiglio dei Ministri nemmeno gli esponenti più critici – e poi astenutisi – si sono accorti di questi passi indietro. E ha ragione Paolo Nerozzi quando sostiene che non è possibile fare un accordo di tale portata per poi vederlo modificato da un contabile e così rimesso in discussione.
Ben diverse erano le osservazioni fatte dalla Confindustria in merito alle lievi correzioni sulla questione dei contratti a termine e su quella del lavori usuranti. Per questi ultimi si era in qualche modo deciso di evitare di porre solo un tetto numerico. Siamo, infatti, di fronte ad un diritto soggettivo: se uno compie un lavoro considerato usurante non può essere estromesso dalle facilitazioni previste circa l’andata in pensione perché è stato raggiunto il numero stabilito. Non può essere considerata una lotteria. E la correzione era stata inserita con queste finalità.
I dissensi della Confindustria sembravano in realtà dettati dalla convinzione che la marea di “Si” all’accordo fosse collegata ad una specie di giudizio semplicemente trionfalistico del mondo del lavoro nei confronti del protocollo. La consultazione in realtà aveva fatto emergere soddisfazioni per molti dei risultati raggiunti ma era stata accompagnata, nelle stesse discussioni preparatorie, anche da critiche puntuali e da richieste di assicurazioni su diversi aspetti e soprattutto proprio sulle questioni dei contratti a termine e dei lavori usuranti. L’ultimo passaggio, dal protocollo al disegno di legge, con le improvvise cancellature denunciate da Epifani, potrebbero aumentare dubbi e critiche.
Una strada tortuosa e che sembra infinita. L’augurio è che la già annunciata convocazione delle parti sociali da parte del ministro del Lavoro riesca a portare una chiarezza definitiva. Poi la parola passerà al Parlamento. E qui, però, i rischi non cesseranno di esistere. Perché gli emendamenti promessi dalla sinistra cosiddetta radicale si confronteranno con quelli già annunciati dai moderati o “coraggiosi” che dir si voglia. Un match i cui esiti tutti possono calcolare.
Dovrebbe toccare al governo difendere l’intangibilità di un testo concordato e approvato da tanta parte del mondo del lavoro. Tutti dovrebbero rispettare quel voto. Per il bene del Paese. Non di questo o quell’orticello politico.


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