Unità: Il Presidente e i ricercatori
Rita Levi Montalcini, insieme a un gruppo di ricercatori e di operatori del mondo della scienza (tra cui chi scrive) sono stati ricevuti mercoledì, al Quirinale, dal Capo dello Stato
Pietro Greco
Rita Levi Montalcini, insieme a un gruppo di ricercatori e di operatori del mondo della scienza (tra cui chi scrive) sono stati ricevuti mercoledì, al Quirinale, dal Capo dello Stato. Erano portatori di due diversi appelli, sottoscritti a cavallo delle elezioni politiche da alcune migliaia di ricercatori di tutta Italia.
L’iniziativa, grazie alla sensibilità del Presidente della Repubblica, rompe un assordante silenzio intorno ai temi della ricerca scientifica nel nostro Paese che dura da troppi mesi e avviluppa sia il governo e le forze politiche, che il mondo del lavoro e l’opinione pubblica.
In estrema sintesi i rappresentanti del mondo scientifico hanno sottolineato a Giorgio Napolitano almeno tre punti su cui il paese per intero - il governo, il Parlamento e le forze politiche; ma anche gli imprenditori, i sindacati e l’opinione pubblica - dovrebbe accendere l’attenzione. Pena: un declino economico, ambientale e civile sempre più accentuato dell’Italia.
Il primo punto riguarda il valore strategico della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. Il mondo ci crede sempre più e lo dimostra coi fatti (mai come oggi gli investimenti dell’intero pianeta in questi due settori sono stati così alti). L’Italia ci crede sempre meno e (ahimé) lo dimostra coi fatti: mai gli investimenti italiani in questi due settori sono stati così distanti dal resto del pianeta (investiamo meno della metà della media mondiale). Ciò ha delle conseguenze. Alcune tangibili. Anzi tangibilissime. A causa di questa scarsa fiducia nella conoscenza, il nostro sistema produttivo è sempre meno competitivo, chiede lavoro sempre meno qualificato e, dunque, paga stipendi ai sui lavoratori sempre più distanti da quelli del resto d’Europa. Non è possibile migliorare né la capacità di sviluppo (sia in termini di crescita, sia in termini di sostenibilità ambientale) né la qualità del lavoro in Italia (sia in termini di lotta al precariato, sia di remunerazioni) se non si affronta, coi fatti, questo nodo. La Germania di recente ha investito 3 miliardi di euro solo per aumentare i suoi centri di eccellenza in ricerca e alta educazione. La Francia investirà 5 miliardi di euro per la riforma del suo sistema di ricerca (peraltro molto contestata). Noi, pur partendo da alcuni gradini più in basso, invece di aumentare le risorse, continuiamo a tagliarle. Questo non è sostenibile né per l’economia del paese, né per la qualità del lavoro, né per la qualità dell’ambiente. E neppure la qualità sociale.
Il secondo punto rappresentato al capo dello Stato è il valore strategico della ricerca pubblica e della ricerca cosiddetta di base o, comunque, mossa dalla curiosità. La scienza disinteressata, che non ha obiettivi immediati se non l’aumento della conoscenza, non ha solo un valore culturale in sé (e non sarebbe certo poca cosa), ma è il volano che mette in moto, in tempi differenziati, la lunga catena delle applicazioni pratiche. E quindi dell’economia. Non illudiamoci, non avremo mai le seconde se non avremo anche una forte ricerca di base. Da questo punto di vista siamo fortunati. Perché la nostra comunità scientifica può contare, per usare le parole di Rita Levi Montalcini, su un “capitale umano”, magari piccolo rispetto ad altri in termini quantitativi, ma di valore assoluto in termini qualitativi. Dobbiamo preservare questa ricchezza. E, anzi, farne la leva per costruire anche in Italia un’economia e una società democratiche della conoscenza.
Questi due punti sembrano chiedere - e lo chiedono - più risorse. Ma l’altro giorno il gruppo di scienziati ha sottoposto all’attenzione del Presidente della Repubblica anche un terzo punto, relativo alla qualità degli investimenti in ricerca. Occorre creare, con urgenza, di meccanismi efficienti di assegnazione dei fondi per la ricerca che premino solo e unicamente il merito, secondo le procedure consolidate a livello internazionale.
Giorgio Napolitano ha ascoltato con grande attenzione le analisi e le proposte degli scienziati, mostrando, ancora una volta, di essere un alto punto di riferimento istituzionale. E ha sottolineato, a sua volta, altri punti decisivi. Ha rilevato come la politica della ricerca in Italia debba essere sempre pensata in termini europei. Non si tratta solo di raggiungere i medesimi standard quantitativi e qualitativi del resto dell’Unione. Si tratta soprattutto di entrare in sintonia con il resto d’Europa. Di pensarci come componente della cultura scientifica europea.
La Presidenza della Repubblica, naturalmente, non ha un ruolo diretto nella politica della ricerca. Ma Giorgio Napolitano è entrato anche in alcune questioni di merito. Ricordando, certo, che il Paese ha problemi di bilancio, derivanti dalla enormità del debito pubblico. Ma che i pur necessari tagli alla spesa pubblica possono e devono essere selettivi. E uno dei settori strategici in cui gli investimenti pubblici non devono diminuire, bensì aumentare - pur nel quadro di una rigorosa politica di bilancio - è proprio la ricerca. Per tutte le ragioni esposte dagli scienziati.
In definitiva, il Presidente della Repubblica ha riconosciuto che i temi sollevati dalla comunità scientifica non sono né contingenti, né settoriali: ma hanno un carattere generale. Sono tra i fattori cruciali (forse sono il fattore più cruciale) per il futuro del paese. Lui non solo ne ha consapevolezza. Ma userà fino in fondo tutto il suo potere di persuasione verso chi - governo e forze politiche, organizzazioni economiche e opinione pubblica - ha invece il potere di realizzare. Sapendo, però, che in questo momento pochi nel nostro Paese sono disponibili a lasciarsi persuadere dalla forza della ragione. Anche quando in ballo c’è il futuro del Paese