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Unità: Il Paese dei nuovi poveri

Vincenzo Cerami

14/08/2008
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l'Unità

La crisi economica in atto, dovuta anche alle note contingenze internazionali, e molto male affrontata dal piano triennale di Tremonti, farà crescere a dismisura, e in tempi brevi, un fenomeno che in Italia si sta palesando almeno da un decennio.Mi riferisco al processo di impoverimento che colpisce il tessuto della società e si allarga come un’infezione partendo dagli strati poveri e salendo verso le classi agiate. La destra non fa nulla per porre ostacoli a questa tendenza, anzi, agisce affinché siano difesi i privilegi cercando di tenere sotto controllo il processo di impoverimento generale degli italiani. Molto indicativo è il provvedimento che assegna una tessera ai poveri, visti come persone separate dalla dinamica economica, destinate al parassitismo per il resto della loro vita.

Lo spauracchio della insicurezza, che fa comparire nelle città le divise militari, e che a Roma arma perfino gli spauriti vigili urbani, crea allarme nella popolazione, forse con una sottesa intenzione intimidatoria. La Lega, che non si è mai fatta illusioni sulla fatalità dell’impoverimento nazionale, da sempre mira a costruire un muro (o più precisamente un cordone sanitario) che separi i privilegiati dai disgraziati. Invece di pensare a guarire l’infezione, sceglie l’amputazione. Tutto sta andando inesorabilmente in questa direzione, è fin troppo evidente.

La materia per un’opposizione chiara e leggibile la fornisce lo stato delle cose. I nuovi poveri, traditi dalla destra, hanno bisogno di un progetto politico che li rassicuri. Si tratta di un ceto emergente, le cui prevedibili reazioni al declassamento sono dal governo sicuramente sottovalutate.

La differenza tra il povero e il nuovo povero è abissale. Chi ha avuto poco o niente vive la sua condizione come fatale, chi invece ha avuto qualcosa e gli è stata tolta, non accetterà mai di sopravvivere e basta. Il povero è rassegnato, l’impoverito s’imbestialisce, ha il sangue tra i denti, soprattutto se si sente ingannato.

Già dal prossimo autunno dovremo registrare i primi contraccolpi del nuovo dissenso, per il momento contro la politica in generale. Ma col passare dei mesi, con i nodi che verranno al pettine, l’intero assetto sociale potrebbe dare segnali, per quanto confusi e apparentemente casuali, di forte instabilità. Ci si accorgerà che non è il pagamento delle tasse a impoverirci, non solo economicamente. La spesa al mercato, i libri per i figli, le famigerate bollette, i servizi sanitari, gli asili nido, l’inflazione, la mancanza di lavoro, la precarietà, la necessità di muoversi con i mezzi pubblici, la rinuncia anche ai prodotti non effimeri e alle tradizionali vacanze, la parsimonia nell’uso dell’energia, il ricorrere sempre di meno ai servizi e alle agenzie che snelliscono la vita quotidiana, la frustrazione di non poter più godere delle vecchie comodità, non poter avviare i figli verso il futuro, eccetera… quando tutto questo avrà completamente modificato la visione del mondo degli italiani, la politica si troverà davanti un universo sociale ben diverso da quello di oggi, e storicamente inedito.

Inizierà l’epoca post-consumistica, che non somiglierà in nulla a quella pre-consumistica, di natura ancora contadina e quindi sorretta da uno zodiaco di riferimento culturale.

Si verificherà un rimescolamento delle fasce sociali? Il consumismo ha svuotato di valore le culture che definivano le diverse classi di cittadini e ha riempito il vuoto con contenuti puramente economici. Quando gli impoveriti si faranno maggioranza, l’Italia perderà definitivamente il suo volto interclassista. Di certo aumenteranno la corruzione, l’illegalità, che diventerà endemica, e il lavoro nero.

Di certo si formeranno mille piccoli centri di potere là dove circola un po’ di danaro o dove il danaro si deve trovare a tutti i costi anche per pagare le necessità urgenti, come quelle legate alla salute. Cresceranno le spinte vandaliche e il risentimento verso i ricchi, insieme con lo strozzinaggio, con la microcriminalità e con un grande mercato quotidiano di piccoli crediti e di piccoli debiti.

La destra, fedele alla sua vocazione liberista, ha tolto portafogli allo Stato e adesso aspetta che il mercato, alleggerito dai vincoli della solidarietà sociale, torni a produrre ricchezza. La sinistra pensa invece che i mercati non funzionano da soli, vanno fatti funzionare. È lo Stato che deve promuovere lo sviluppo, fornendo soprattutto ricerca, infrastrutture e istruzione (si legga in proposito il bellissimo articolo pubblicato su "la Repubblica" lunedì 11 agosto, firmato da Joseph E. Stiglitz dal titolo "Per tornare a crescere serve più sinistra").

Cosa deve fare la sinistra all’opposizione di fronte a tutto ciò? Il semplice buon senso ci dice che dovrebbe innanzi tutto prendere una ancor più netta distanza dalle decisioni governative, per non essere presto accusata di corresponsabilità nella crisi (meglio quindi non "collaborare"). Poi dovrà porsi come forza in grado di riportare tranquillità e sicurezza reale a un elettorato trasversale ai partiti, spaventato, anomico. E per quanto riguarda il Federalismo proposto dalla Lega dire un no secco e convinto, proponendo invece un progetto di riforma più efficace, più giusto e più patriottico.


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