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Unità: Il Nobel alle tecnologie «piccole piccole»

Il lavoro dei due fisici che è stato giudicato meritevole del massimo premio scientifico è piuttosto tecnico, ma di immediata utilità pratica: è grazie alla magnetoresistenza gigante, infatti, che oggi riusciamo a leggere la enorme quantità di dati immagazzinati negli hard disk sempre più piccoli dei nostri computer

10/10/2007
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l'Unità

di Pietro Greco

Premio Nobel 2007 per la fisica al francese Albert Fert, 69 anni, in forze all’Unité Mixte de Physique CNRS/THALES, Université Paris-Sud, Orsay, e al tedesco Peter Grünberg, 68 anni, in forze al Forschungszentrum Jülich, Jülich, per «la scoperta della magnetoresistenza gigante».
Il lavoro dei due fisici che è stato giudicato meritevole del massimo premio scientifico è piuttosto tecnico, ma di immediata utilità pratica: è grazie alla magnetoresistenza gigante, infatti, che oggi riusciamo a leggere la enorme quantità di dati immagazzinati negli hard disk sempre più piccoli dei nostri computer. La scoperta è stata realizzata da Fert e Grünberg - indipendentemente l’uno dall’altro, come usa dire - nel 1988 e meno di dieci anni dopo, nel 1997, era già commercializzata. E, a ben vedere, è questo forse che hanno voluto mettere in evidenza i referees dell’Accademia delle Scienze di Stoccolma conferendo ai due il Premio Nobel per la fisica.
Non che, beninteso, la scoperta non abbia un valore scientifico in sé. Tutt’altro. E per capirlo dobbiamo dire, sia pure in maniera sintetica, di che si tratta. La corrente elettrica in un materiale metallico è il flusso di elettroni che si muove in una direzione indotto da una differenza di potenziale. In un metallo ideale gli elettroni viaggerebbero in perfetta linea retta a velocità costante. Il fatto è che i metalli perfetti non esistono e gli elettroni quando si muovono vengono, di tanto in tanto, deviati. A livello macroscopico il tasso di elettroni deviati dalla linea retta si chiama resistenza elettrica.
I metalli offrono una piccola resistenza alla corrente elettrica e sono definiti conduttori. Altri materiali, per esempio la plastica, offre grande resistenza alla corrente elettrica e vengono definiti isolanti. Si dice che i primi hanno una buona conducibilità elettrica e i secondi una pessima conducibilità elettrica. Se immergo il materiale in un campo magnetico, la conducibilità o, se si vuole, la resistenza elettrica può variare. I metalli sono particolarmente sensibili all’influenza dei campi elettrici. E, in questo caso, si parla di magnetoresistenza.
In particolari condizioni, il campo magnetico può indurre una variazione molto grande della resistenza elettrica. È in questo caso che si parla di «magnetoresistenza gigante». Nel 1988, agendo con perizia a dimensioni molecolari, Albert Fert e Peter Grünberg hanno impacchettato film molto sottili di metalli non magnetici in due strati di metalli magnetici, trovando così il sistema per costruire materiali dotati di «magnetosfera gigante». Le grandi variazioni di conducibilità elettrica si prestano ottimamente per «leggere» le informazioni accatastate negli archivi elettronici. E i sandwich sottilissimi di Albert Fert e Peter Grünberg si prestano a incamerare quantità enormi di dati in formato elettronico.
Morale: nel giro di pochi anni - meno di dieci - il prototipo sperimentale si è trasformato in un apparato commerciale, usato nei computer di tutto il mondo.
Il premio Nobel, dunque, premia un successo scientifico che si è rapidamente trasformato in un successo tecnologico. E riconferma la duplice capacità della fisica: che è quella sia di produrre nuove conoscenze sulla realtà che ci circonda, sia di produrre innovazione con effetti economici e sociali di notevole portata. Insomma, anche se la gran parte dei fondi e una quantità enorme di finanziamenti si è spostata verso la biologia - considerata ormai la scienza regine - la fisica resta una della discipline protagoniste della società della conoscenza.
Ma c’è di più. Le capacità di manipolare la materia inorganica di Albert Fert e Peter Grünberg si sono espresse a dimensioni molecolari. Lo spessore dei film dotati di «magnetoresistenza gigante» non vanno oltre quello di qualche atomo. Alle dimensioni, cioè, dei nanometri: ovvero dei miliardesimi di metro. E quello che hanno messo a punto è, dunque, una «nanotecnologia». Cosicché il successo applicativo dei loro materiali può essere considerato - come sottolineano gli esperti della Reale Accademia delle Science di Stoccolma - come il primo successo applicativo delle nanotecnologie.
Un esordio non da poco. Perché la promesse di queste tecnologie messa a punto a livello dei nanometri sono altissime. Non solo si pensa che le nanotecnologie ormai si aggiungano alla tecnologie informatiche e alle tecnologie biologiche per formare il «triangolo della conoscenza», ma qualcuno calcola che nel giro di cento anni le nanotecnologie faranno aumentare di cento volte la ricchezza prodotta la mondo. Che rivoluzioneranno interi settori - dalla medicina all’ingegneria, fino (ahinoi) all’industria militare.
Probabilmente molte di queste attese - nel bene e nel male - sono esagerate. E molti scettici iniziavano a sostenere: ma se sono così rivoluzionarie, come mai non sono ancora tra noi? Ebbene, il premio Nobel a Fert e Grünberg ci conferma che le attese non sono affatto infondate. Che le nanotecnologie non appartengono solo al nostro futuro, ma già al nostro presente. E che, in fondo, non hanno l’aspetto inquietante descritto da Michael Crichton nel suo romanzo Preda.


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