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Unità: Il 12 in sciopero per cambiare le scelte del Governo

intervista a G.Epifani

09/12/2008
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l'Unità

«Il governo brilla per assenza di ragionamento. Manca un’idea, un’analisi, un progetto alto in grado di farci uscire da una crisi inedita, la prima del mondo globalizzato, che colpisce tutti e colpisce duro. Quello del governo non è un piano, restano fuori le scelte a sostegno dei ceti produttivi, non c’è una riforma degli ammortizzatori sociali. Quello che ha fatto è solo un’operazione di garanzia per le banche. Così non può funzionare. Anche perchè il punto non è se usciremo dalla crisi, ma quando e come». È la settimana dello sciopero per la Cgil: venerdì 12, milioni di lavoratori resteranno a casa. Niente paga per quel giorno, mica facile per i tempi che viviamo. Sciopero generale, sciopero separato: Cisl e Uil non ci saranno, l’unità sindacale corre il rischio di restare un irrealizzabile desiderata molto a lungo.
E il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, che l’unità l’ha sempre fortemente voluta, adesso dice: «Non sono ottimista su questo, il governo è forte e ha molti poteri di persuasione, nei confronti del sindacato come anche delle imprese». Il governo è forte, l’opposizione (leggi Pd) troppo debole. «Tanto più di fronte a una crisi di questa portata, ha bisogno di ritrovare identità e autorevolezza, altrimenti invece che dare risposte diventa a sua volta uno dei fattori di crisi. Una democrazia non può funzionare così». Realista come sempre, ma niente affatto rassegnato.
Lo sciopero si farà. Che risposta si aspetta dai lavoratori?
«Si farà, e sarà una prova molto impegnativa. Ci stiamo preparando con migliaia di assemblee in tutti i luoghi di lavoro, abbiamo il polso della situazione. C’è una condivisione forte delle nostre proposte, del giudizio critico nei confronti del governo, dell’esigenza di contrastare la crisi con interventi più forti di quelli messi in campo. E questo è un primo dato confortante. Poi, registriamo una grandissima preoccupazione, logica ma davvero molto pesante. Del resto, questa è una crisi che colpisce tutti, da chi entra in cassa integrazione e rischia il posto di lavoro, al giovane precario cui non verrà rinnovato l’incarico, all’anziano che sul serio non riesce a tirare la fine del mese».
Servirà a ottenere qualcosa? C’è qualche vaga possibilità che il governo cambi marcia?
«Domanda fondata, stante che il governo ha una grandissima maggioranza nel paese. La risposta che diamo è che se non facessimo nulla, se la più grande forza sindacale rimanesse inerte, e in sostanza facesse come la Cisl e la Uil, il segno che daremmo sarebbe che non c’è dissenso con le scelte del governo. Mentre per noi sono profondamente insufficienti. Io penso ci siano dei margini per far cambiare idea al governo, sia sulla gravità della crisi, finora sottovalutata, sia sulle risposte da fornire, finora inadeguate».
Il governo italiano non ha un’idea forte. E gli altri governi d’Europa?
«Tutti seguono un indirizzo preciso, tranne noi. E tranne la Germania, anche, che comunque ha una sua forza economica che resta molto maggiore rispetto alla nostra. Perchè ricordiamoci che l’Italia nel 2008 farà peggio di quasi tutti i paesi d’Europa. C’è chi fa scelte forti a favore dei consumi, come la Gran Bretagna, chi ha deciso di sostenere gli investimenti, come intende fare Sarkozy soprattutto per auto, edilizia e scuola. C’è chi pensa a entrambe le cose: Zapatero in Spagna e, ovviamente su diverse dimensioni, Obama negli Stati Uniti».
E c’è chi dice “consumate, gente, consumate”, come Berlusconi. Che senso ha far credere che la gravità della crisi sia nelle mani dei cittadini?
«È un segno di impotenza e di rassegnazione da parte di un governo che vuole apparire decisionista e che invece di decisioni forti non ne sa prendere. Uno scarico di responsabilità. Ormai tutti gli economisti convergono su alcuni punti: per esempio, il fatto che ci vuole un grande intervento sugli ammortizzatori sociali. Anche Francesco Giavazzi l’ha scritto sul Corriere (ieri in un editoriale dal titolo programmatico “Trovare il coraggio”, ndr). Intendiamoci: è vero che i cittadini devono avere un ruolo attivo, così com’è vero che i consumi sono un elemento importante dell’economia. Ma i problemi più gravi sono quelli del manifatturiero e dei servizi, e invece di questi si tace. Anche la logica del bonus, delle una tantum, non serve. Per essere davvero efficaci, per ridare fiato a una domanda asfittica, gli interventi devono avere un certo tasso di strutturalità, cioè di permanenza nel tempo. Invece, nella logica delle una tantum c’è solo l’idea di prendere quello che si può, qui e subito, senza poter scommettere sul futuro. E senza futuro non si fa nulla: è chiaro che una parte del paese di soldi non ne ha proprio, ma un’altra è spinta a tenerseli stretti perchè naviga nell’incertezza. I segnali psicologici positivi non si danno con le parole ma con i fatti. Dalla crisi usciremo di sicuro, il punto è quando e come, con quali margini di povertà, di disperazione anche, con quali assetti produttivi e quali reti pubbliche, visto che l’unica cosa che è stata fatta sono i tagli a sanità, enti pubblici, scuola. Qual è il progetto sociale? A recessione terminata, rischiamo di avere molti più poveri, in un paese attraversato da più divisioni, più conflitti, più xenofobia. Anche questa è una ragione importante dello sciopero».
Il governo sta cercando 3 miliardi in più, il fondo per gli ammortizzatori sociali verrà rafforzato.
«Per forza: lo scheletro delle misure è debole, quindi è costretto a correggere continuamente il tiro, in modo occasionale. Tremonti ha sbagliato la Finanziaria e non lo vuole ammettere. Diceva che non l’avrebbe toccata, e invece è già accaduto tre volte. C’è una somma di contraddizioni che il governo si è portato dietro e che determinano la situazione attuale, dai tagli alla spesa all’eliminazione totale dell’Ici, promessa in campagna elettorale. È mancato il coraggio di correggersi».
E adesso sta arrivando una valanga di cassa integrazione.
«Da gennaio sarà anche peggio. Per la prima volta in 10 anni riguarderà tutta la meccanica, non solo l’auto e la Fiat, ma la siderurgia, la robotica, ovvero il nerbo dell’industria italiana che ha assoluto bisogno di aiuti in grado di sostenere gli investimenti. Tutto il 2009 sarà segnato dalla crisi, i tempi dipenderanno molto dall’efficacia delle risposte».
Il sindacato è diviso, di conseguenza più debole. Pezzotta, ex leader Cisl, ieri sul nostro giornale spingeva per l’unità tra le confederazioni. Bonanni dà segnali contraddittori. Lei ci crede ancora?
«Noi continueremo a ricercarla. Dovremmo essere in grado di concentrarci, insieme, sulla crisi. Ma vedo una forte volontà da parte del governo di dividere, e di certo ha molti poteri di persuasione. Chiaro, non dovrebbero prefigurarsi accordi separati sulla riforma del modello contrattuale...Ma io sono realista. E non so se questo sarà possibile».
Lei ha esortato anche il Pd ad avere più coraggio rispetto alla crisi, in relazione allo sciopero ma non solo.
«Dovrebbe avere più coraggio, e stare più vicino alle persone. Andare in giro a vedere come stanno davvero, farsi un’idea di quale sia la situazione del paese. Il Pd non può restare fermo, altrimenti implode, dev’essere in grado non solo di avere un progetto ma anche di attuarlo. È chiaro che, per farlo, deve avere un profilo identitario molto netto. Non avere un’opposizione forte è un problema per tutti, per la democrazia stessa. Deve recuperare autorevolezza».
L’autorevolezza rischia di sbriciolarsi di fronte alla cosiddetta questione morale. Che idea s’è fatto di quanto sta accadendo in questi giorni?
«Credo nell’onestà della stragrande maggioranza degli amministratori. Se c’è qualche mela marcia, va isolata. Ma il problema è che il Pd ha una struttura debole, sia al centro sia in periferia. Sconta anche un po’ di approssimazione nel processo con cui è stato costruito. A questo punto, oltretutto di fronte a una situazione così grave, le uniche cose da fare sono rafforzarlo e consentire a Veltroni di continuare il suo lavoro».
Opposizione fragile, sindacato diviso: la Cgil si sente isolata?
«La Cgil ha un sovrappiù di responsabilità. La crisi politica ha effetti anche sul sistema della rappresentanza sociale. C’è il bisogno urgente che le persone che non condividono le scelte del governo trovino un progetto di cambiamento sul terreno politico. In un clima in cui si perde la speranza, il bisogno diventa più forte. È per questo - la questione dell’autonomia è ampiamente superata - che non possiamo essere indifferenti a quanto avviene in politica».
lmatteucci@unita.it


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