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Unità: I ragazzi dell’Onda. «I facinorosi? Alcuni stranieri»

Parlano gli studenti: «Otto persone qui decidono per milioni di ragazzi, vogliamo una università diversa». Sottolineano che l’Onda è tornata e che i tafferugli sono nati «dal clima creato»

20/05/2009
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l'Unità

LAURA MATTEUCCIQui finisce che si parla solo delle contestazioni e non si apre mai un dibattito serio sulla cultura e l’università». Diego, 20 anni, da Napoli, sbuffa e fa per andarsene. Ma come, e i facinorosi arrivati da mezza Europa in tenuta da guerriglia descritti o evocati da certa stampa e certa politica? «Quali facinorosi? Qualche straniero, greci, spagnoli, tedeschi, più che altro francesi, perché la Sorbona è occupata da mesi». E i tafferugli, gli scontri, i feriti? «Alcuni ragazzi sono finiti intossicati dai gas. Niente di grave. Gli scontri sono nati nel clima che si è voluto costruire». E dàgli alla stampa. Anche alla polizia: «Già la mattina presto erano in tenuta antisommossa, con un atteggiamento provocatorio - racconta Tito, 22 anni, che studia Scienze politiche a Roma - era fisiologico succedesse qualcosa». Anche perché, «nel clima che si è voluto costruire», l’intenzione di «un’azione dimostrativa» c’era, dice Gianluca laureando in storia, con l’idea di «bloccare» il G8 dell’Università, anche solo simbolicamente, senza prendersela con i simboli classici, le banche, i negozi, i re del fast-food. «Il punto è questo: non è possibile che 8 persone decidano le sorti di milioni di studenti di tutto il mondo».

Modelli falliti. Già, questo è il punto: i ragazzi vogliono contare, chiedono un’interrelazione più diretta con quello che studiano, e tra studio e lavoro (se mai ci sarà). «Anche perché i laureati di eccellenza, di stampo anglosassone, che magari siedono all’interno del G8, sono gli stessi che hanno prodotto la crisi economica che stiamo vivendo», dice Francesca. A scanso di equivoci: «Questo G8 ricalca un modello di società fallito». I ragazzi parlano, accavallano le voci, hanno l’urgenza di raccontare il loro maggio a Torino. Soprattutto, vogliono chiarire: l’onda è tornata, ci siamo, non siamo scomparsi, come dice Dana, tra i portavoce del movimento. Che è variegato e variopinto: il Cua, il collettivo autonomo universitario propaggine nell’ateneo torinese del centro sociale Asktatasuna, gli Studenti indipendenti. All’assemblea che chiude la due giorni, nella palazzina Aldo Moro a fianco dell’università che il rettore ha serrato, le facce sono tutte contente, i commenti tutti soddisfatti. Per i numeri, innanzitutto: nessuno si aspettava così tante presenze, loro dicono ottimisticamente 10mila ma insomma qualche migliaio sono, e lunedì erano “solo” qualche centinaio. Il tam tam, tra le manganellate del giorno prima e il clima che si arroventava, ha fatto miracoli. Sono partiti da tutta Italia: treni, pullman, auto da Milano, Roma, Napoli soprattutto, ma anche da Bologna, Firenze, Genova, Padova, persino da Palermo. Qualche delegazione anche dall’estero, arrivata già da alcuni giorni, in rappresentanza dei collettivi di Atene, Parigi, Barcellona, Berlino. Dario viene da Cosenza con alcune certezze. Fosche. «I nostri genitori hanno migliorato le loro posizioni, noi faremo l’opposto. Siamo i precari del nuovo millennio, per noi il futuro non c’è», dice. «Io non voglio emigrare, non capisco perchè i corsi universitari non siano funzionali allo sviluppo del territorio in cui si vive, tanto più da noi al sud. O dobbiamo parlare della questione meridionale ancora per i prossimi 50 anni?». E Alessandra: «Ci accusano di essere dei conservatori, invece noi vogliamo tutta un’altra università, mica difendiamo i baroni. Chiediamo dei modelli nuovi».

Ciao, ciao, si torna a casa. Con apppuntamento a dopo l’estate, quando si aspettano di dover tornare in piazza contro la riforma dell’università.


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