Unità: I presidi non ci stanno: «Militarizzare non serve»
«Non siamo all’emergenza. E se un ragazzo “fuma” prima chiamiamo i genitori»
di Massimo Franchi
SORPRESI e diffidenti. Chi a scuola ci lavora tutti i giorni non si aspettava le dichiarazioni del ministro Turco. La droga a scuola non è un tabù. Anzi. Ma per i presidi
o, come si chiamano da qualche anno, dirigenti scolastici, mandare i Nas dentro le scuole è una misura che «delegittima la nostra autorità, il nostro ruolo di formatori». Questo non significa rimanere inerti se si vedono spacciatori davanti alla propria scuola o ragazzi che si drogano. «In quel caso - rispondono tutti - chiamare le forze dell’ordine è nostro dovere, ma solo davanti alla certezza e dopo aver cercato il dialogo con i ragazzi».
Per Grazia Fassorra, responsabile formazione dell’Associazione nazionale presidi, «l’intervento dei Nas può essere considerato solamente come ultima ratio, dopo averle tentate tutte. Sarebbe bene che dentro la scuola le forze dell’ordine non entrassero». Il dato che i presidi contestano è in primo luogo quello di trovarsi di fronte ad un’emergenza droga nella scuola. «Non è così - continua Grazia Fassorra - a mia conoscenza ci sono solo casi isolati di cronaca che i media amplificano. Se un dirigente scolastico viene a sapere che un ragazzo si droga, per prima cosa contatta i genitori: il dialogo con loro è fondamentale».
Fra di loro c’è anche chi è stato condannato per non avrebbe fatto nulla per impedire che gli studenti si facessero le canne nei bagni. Il professor Bruno Dagnini era preside del liceo scientifico Majorana di Rho, nell’hinterland milanese, nel 2003. Era stato indagato dal pubblico ministero Gianluca Braghò dopo che i carabinieri del posto avevano trovando prove dell’utilizzo e dello spaccio di marijuana e hashish da parte degli studenti (due dei quali furono pure arrestati). Il coinvolgimento del preside non fu però immediato. Perché venisse formalmente accusato ci vollero le denunce di tre professori, contrari alle posizioni antiproibizioniste di Dagnini, che parlavano di una situazione nota a tutti, all’interno del Majorana, una situazione alla quale il preside non aveva mai voluto porre rimedio. In primo grado fu condannato ad un anno e otto mesi per «favoreggiamento» e «agevolazione dolosa dello spaccio». In appello l’agevolazione è scomparsa, il favoreggiamento è rimasto. E Dagnini è stato mandato a dirigere una scuola elementare e media dove questi problemi (si spera) non ci sono. «Ho subìto un’ingiustizia perché penso semplicemente che una scuola debba funzionare senza la minaccia dei carabinieri». Una sentenza storica, che ha irrigidito le posizioni dei colleghi e fatto usare il pugno duro e avvisare i carabinieri ad ogni minimo sospetto.
A difendere Dagnini è rimasto l’avvocato ed ex parlamentare Giuliano Pisapia. «Pensare di risolvere il problema droga con i Nas è controproducente - commenta - . Militarizzando le scuole si rompe la possibilità di dialogo con gli studenti, un dialogo magari anche severo ma che va ritrovato fra scuola, insegnanti, presidi e Aziende sanitarie locali, lo strumento migliore per interventi di prevenzione».
E proprio la prevenzione è la parola chiave per Flavia De Vincenzi, preside dell’istituto tecnico per il turismo Livia Bottardi in zona La Rustica, estrema periferia di Roma. Una scuola di frontiera dove però i problemi di droga sono lontani anni luce. «Da anni portiamo avanti un piano di educazione alla salute con docenti che lo seguono direttamente e l’aiuto dell’Asl di zona. Siamo molto attenti e vigili su questo tema e abbiamo ottenuto ottimi risultati potendo dire che la droga è lontana dalla nostra scuola».