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Unità-I passi falsi di Letizia Moratti

I passi falsi di Letizia Moratti di Marina Boscaino Accade periodicamente da circa un anno: ogni volta che il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti incappa nel veto del Consiglio dei ministri, ...

19/08/2002
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l'Unità

I passi falsi di Letizia Moratti
di Marina Boscaino

Accade periodicamente da circa un anno: ogni volta che il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti incappa nel veto del Consiglio dei ministri, il presidente Berlusconi interviene a rassicurarla (e a creare ulteriore confusione in chi assiste perplesso a questa recita già vista) che tutto va per il meglio, che la compagine governativa è solidale con lei, che esistono persino i fondi per portare avanti la riforma, smentendo clamorosamente le dichiarazioni precedenti dei titolari di altri dicasteri. Così era successo in gennaio, quando il progetto di riforma del ministro Moratti (che confinava nel dimenticatoio la tanto sbandierata riforma Bertagna) non era stato approvato in prima battuta dal Consiglio dei ministri.
Identica situazione in occasione del fallimento del progetto di sperimentazione esteso a tutte le scuole, che la Moratti volenterosamente ha partorito per consolarsi dei tempi lunghi di approvazione del decreto legge: la legge di riforma è bloccata dal mese di maggio presso la Commissione Cultura del Senato; la discussione del testo, che la Moratti prevedeva varato entro luglio, è rinviata alla seconda metà di settembre. Dello stesso tono era stato l'intervento di Berlusconi in occasione della kermesse pre-natalizia degli Stati Generali, che di fatto ha contraddittoriamente (e provvidenzialmente) affossato in via definitiva la proposta Bertagna, motivo principale per cui quella sfarzosa rappresentazione mediatica era stata concepita e rocambolescamente allestita (basti pensare, ad esempio, allo spostamento della sede da Foligno a Roma solo due giorni prima dell'inizio).
Ci sarebbero da riempire pagine e pagine per fare il punto delle innumerevoli gaffes e dei passi falsi che hanno contraddistinto l'ultimo anno di Letizia Moratti. Non ha stupito dunque il fatto che qualche giorno fa l'Ansa battesse un'agenzia sulle imminenti dimissioni del ministro dell'Istruzione, accolta con toni inopportunamente drammatici da alcuni giornali filo-governativi. Notizia rapidamente rientrata, grazie anche al provvido intervento del presidente del Consiglio. Ma rimane di fatto la sfiducia del proprio governo e della propria maggioranza nei confronti del ministro dell'Istruzione (al punto che il il suo nome compare nuovamente tra quelli dei ministri coinvolti in un possibile rimpasto).
Tale sfiducia non viene minimamente temperata dal fatto che una mini sperimentazione partirà da settembre, coinvolgendo di fatto uno o due plessi delle 103 provincie italiane e dunque circa 200 scuole, i cui criteri di selezione rimangono ancora oggi comunque oscuri e dei quali è necessario pretendere la totale visibilità, nella tutela della scuola pubblica. Un bottino piuttosto magro, considerando i progetti e le previsioni dalle quali la Moratti era partita. Moratti, Berlusconi, Consiglio dei ministri: sembra di parlare di un affare privato, tutto giocato all'interno della maggioranza, un vero e proprio affare di famiglia e non di una riforma che interessa la premessa e il cuore dell'intera società, la scuola. L'indifferenza completa nei confronti dei reali attori di una riforma del genere non manca di colpire e di rappresentare non solo uno dei punti cruciali della vicenda, ma anche il principale sintomo di un approccio diffuso in questo governo, che appare tanto più scabroso quanto più è applicato al luogo a cui si affida la trasmissione del concetto di rispetto delle istituzioni, di coscienza civile e politica. Da una parte colpisce l'indifferenza nei confronti dei "tecnici" della scuola, gli insegnanti, trattati alla stregua di numeri, possibilmente da falcidiare in nome di inconsistenti e poco persuasive argomentazioni teoriche: ne è la prova (oltre ai tagli preventivati per i prossimi tre anni e alla normativa definita in sede di Finanziaria in merito alle supplenze che dovranno essere prevalentemente effettuate in seno all'organico di istituto, con un ricorso sempre più raro alla chiamate di supplenti esterni) il ritorno al maestro unico alle elementari; tale provvedimento, che verrà attuato nell'ambito della mini sperimentazione, rappresenta un sovvertimento così clamoroso dei risultati delle esperienze educative e didattiche degli ultimi anni e, d'altra parte, così repentino e frettoloso, motivato in termini così vaghi e inconsistenti, da non poter essere esente dal sospetto di costituire una trovata efficace a sostegno della politica di taglio del numero degli insegnanti voluta dal governo Berlusconi. Colpisce allo stesso modo l'indifferenza nei confronti delle istituzioni: una riforma non discussa e non approvata dal Parlamento, l'organo della sovranità popolare in ogni stato democratico, non dovrebbe volontariamente ignorare le procedure scavalcando proprio il Parlamento e servendosi della trovata di una sperimentazione che, di fatto, rende operativa - seppure in aree limitate - alla stregua di legge ciò che legge ancora non è. Di più: nonostante gli accordi precedentemente presi con l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani in merito ad un tavolo delle regole come unica sede in cui definire criteri e modalità a cui le scuole avrebbero dovuto adeguarsi, la mini sperimentazione è stata annunciata senza interpellare l'Anci; concordi i rappresentanti di entrambi gli schieramenti politici nel considerare improvvisato e frettoloso il modo di procedere del Ministero, anche in quest'ultima occasione.
Il mondo sindacale - che pure in questi casi dovrebbe costituire un interlocutore attivo - richiede colloqui urgenti con il ministro e, ricompattato dall'inadeguatezza delle procedure portate avanti dalla Moratti, non esclude mobilitazioni autunnali. Ma l'indifferenza forse più clamorosa è quella evidenziata nei confronti dei bambini e delle loro famiglie: che a un mese dall'apertura delle scuole si vedono piovere addosso questo caotico magma di dichiarazioni e smentite, di proposte e controproposte; bimbi di due anni e mezzo che - nelle scuole materne in cui non è possibile procedere alla formazione di tre classi distinte per fascia di età - si troveranno insieme a compagni di cinque anni e mezzo e insegnanti che dovranno gestire questa situazione, tra l'accudimento necessario nei confronti dei primi e l'impostazione didattica imprescindibile dai secondi. Famiglie che ancora oggi non sanno se potranno avvalersi della possibilità di iscrivere i propri figli alla scuola materna piuttosto che all'asilo nido, alla scuola elementare piuttosto che alla materna. Conosce, il ministro Moratti, la situazione di un bimbo di due anni e mezzo? Intuisce la differenza dell'impostazione didattica dell'insegnante unica rispetto alle insegnanti differenti per area disciplinare? Avverte la contraddizione rappresentata dal fatto che esistono zone del nostro Paese in cui le strutture pubbliche della scuola materna non hanno una sufficiente capacità di ricezione già adesso che sono destinate ai bimbi dai 3 ai 6 anni? A questi e a molti altri interrogativi non è possibile avere una risposta diretta, anche se la risposta è implicita nelle azioni, nelle proposte; il monologo egocentrico e poco responsabile che il governo sta recitando nel disperato tentativo di riacciuffare una credibilità che, atto dopo atto, diventa sempre più improbabile, deve continuare. C'è da chiedersi quale possa essere il motivo reale dell'incredibile sequenza di autogol messi a segno dal ministro e dal suo staff. C'è da chiedersi a chi possa giovare tutto ciò e come sia possibile che l'esperienza delle prime disavventure non abbia consigliato una scontata cautela nel procedere. Non sono più solamente l'individualismo, il classismo che stanno alla base dell'idea di istruzione (il meno possibile pubblica) del governo a fare paura; non è più esclusivamente l'abbandono dell'idea di assicurare tramite la scuola pubblica, attraverso il concetto di pari opportunità e di libertà, a ciascuno una possibilità di successo formativo in una concezione pubblica e laica dei luoghi del sapere.
Questi sono i principi ai quali molti cittadini italiani ora e in futuro ispirano la propria idea di scuola e che certamente sapremo difendere. Il pericolo immediato è più banale, e per questo più allarmante: ed è la spregiudicata disinvoltura (e la limitata competenza) ostentate dalla Moratti nel maneggiare una materia così importante evitando il dialogo, il confronto, la ragionevolezza, la cautela, la democraticità del procedere. Impermeabile alle critiche espresse, insensibile agli errori di valutazione e al fallimento di una politica da guerra-lampo che poco si confà al varo di una riforma così importante, la Moratti prosegue per la sua strada, distruggendo senza edificare, o meglio edificando su fondamenta volutamente fragili e precarie che, sbriciolandosi, potrebbero provocare conseguenze molto gravi.


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