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Unità-I genii, i maestri, i ragazzi

I genii, i maestri, i ragazzi CARLO BERNARDINI Pietro Citati sprizza cultura classica come una fontana, da ogni buchino della sua celebrità. Egli è un erudito a mille atmosfere, senza ...

10/06/2004
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l'Unità

I genii, i maestri, i ragazzi

CARLO BERNARDINI

Pietro Citati sprizza cultura classica come una fontana, da ogni buchino della sua celebrità. Egli è un erudito a mille atmosfere, senza uguali, e non lo nasconde. I suoi interventi su la Repubblica, a differenza di quelli dei comuni mortali che devono esercitare l'arte della sintesi (peraltro non spregevole), sono alluvionali: gode dell'alto riconoscimento che è dovuto ai grandi, che poi sarebbe una scelta del direttore ma legittima, sicché chi trovasse l'articolo troppo lungo può solo esercitare il diritto di non leggerlo senza doverlo dichiarare (anche questa è privacy).
Ma talvolta parla di cose di cui non sembra vivere. E però taccia di incompetenza chi le vive. Della scuola, tempo addietro, dell'università, l'8 giugno scorso. La dimensione dello scritto è sempre quella deferentemente riservata all'immenso sapere dell'autore; ma questa volta sembra esorbitante a fronte del circoscritto vissuto del grande scrittore (peraltro dichiaratamente ammesso). Sicché, il Citati "la fa" - come dicono a Bologna - "fuori dal vaso". Se la prende con la "riforma Berlinguer" (Luigi) dell'Università, il famigerato 3+2, dichiarando onestamente (va sottolineato, l'onestà intellettuale è rara, ormai) che nuoce a Lettere e Filosofia. E qui, confondendo senza esitazione (che sia un monito?) erudizione e ingegno, enumera con precisione contabile quante pagine in meno dovranno "leggere" i giovani sottoposti all'invereconda riforma. Sicché conosceranno trecento cinquecentosettantesimi di Amleto e non so quanti chilogrammi in meno di Iliadi e Odissee. Alcuni di noi, di fronte a questa massiccia (faut le dire) quantificazione di ciò che affardella un letterato, si ritraggono inorriditi. Soprattutto perché vengono - alcuni di noi, s'intende - da discipline in cui vince l'intelligenza rivolta al futuro delle conoscenze sulla memoria dedita alla conservazione del passato; ma questo è un tasto delicato. Il fatto è che siamo soprattutto professori prima che intellettuali, servitori dello stato, e pensiamo che il nostro compito sia quello di aiutare a crescere intellettualmente chi, giovane, stenta a farcela da solo, ben sapendo che i pochi Citati sono autodidatti che sanno fare a meno di noi, già baciati in altra sede, presumibilmente socioambientale, dalla fortuna, non certo nell'Università. Ai genii, i maestri servono solo per fare carriera accademica, assai meno per imparare. E allora, per noi che ci abbiamo lavorato sodo perché funzionasse, il 3+2, ben studiato in forte collaborazione tra colleghi, può risolvere il dramma di tanti disgraziati adolescenti che non vogliono fare i falegnami, come l'illustre suggerisce: non lo dico per disprezzo verso l'arte della falegnameria, ma perché ammiro i ragazzi che sono affascinati dall'attività intellettuale e sentono di averne diritto: siamo o non siamo una civiltà evoluta?. Forse, Citati vuole dire che la collaborazione tra umanisti per fare corsi universitari meno pesanti ma non disdicevoli è impossibile perché sono, notoriamente, individualisti ad oltranza ("fottuti individualisti", si dovrebbe dire)? In tal caso, potrebbe avere ragione; ma il problema sarebbe dei suoi amici e compagni di recriminazione, vestali di chissà che. Ma questo è un altro "discorzzo" difficilmente liquidabile con l'espediente un po' provinciale di accomunare in una unica parentesi di apparentemente scherzoso ripudio Moratti + Berlinguer, a dispetto della palese incompatibilità.


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