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Unità: I fannulloni, il paradosso dell'insegnante

Marina Boscaino

06/09/2007
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l'Unità

Le granitiche certezze degli anni della nostra gioventù - lo sappiamo - sono cadute ad una ad una, lasciando il posto in molti di noi alla disillusione, qualche volta all’abbandono dell’impegno.

Una certezza che ho continuato a coltivare fino a qualche tempo fa e che - praticando la scuola si sta sgretolando, tra (mie) rabbia e malinconia - è il concetto degli insegnanti tutta brava gente.

Per anni ho pensato, certamente con non poco idealismo (e certamente grazie all’occasione fortunata di incontrare sulla mia strada molte persone che rafforzavano questa mia idea) che - per il particolarissimo tipo di intervento cui era chiamato - l’insegnante fosse di per sé la configurazione di un’etica del lavoro e dell’impegno che prescindesse dai limiti asfittici di uno stipendio irrisorio; di una progressiva delegittimazione socio-culturale: di una perdita di attualità e di pregnanza del proprio ruolo e della propria funzione nella configurazione dei ranghi della struttura sociale «che conta»: una triste decadenza iniziata dalla «Milano da bere» in poi.

Il tutto al di là delle scontate e cantilenanti litanie su quanto sono importanti gli insegnanti, su quale immensa responsabilità abbiano; recite a soggetto -di società civile e, soprattutto, mondo politico (al netto di qualche imbarazzante uscita estemporanea di Fini o dei suoi simili) - ai quali non segue letteralmente mai alcun tipo di azione e provvedimento che concretizzi l’apprezzamento reale. Poi ho capito, piano piano, che i copioni erano artatamente reiterati e monotoni, un po’ come il vezzo di mettere la scuola e la ricerca ai primi punti dei programmi politici, disattendendo sempre quella graduatoria. Ma anche che la lettura romantica di una classe docente tutta competenza, impegno, passione ed eticità non era che la proiezione di una speranza. Una speranza, voglio sottolinearlo, più facile da realizzare qualora gli stipendi dei barbieri, degli operai, dei tecnici di Camerae Senato non fossero così abissalmente superiori ai nostri, come ha dimostrato la recente inchiesta sull’ Espresso. Purtroppo nel nostro Paese troppi hanno accettato il patto scellerato - bisbigliato sottovoce - proposto dalla politica: vi paghiamo poco, lavorate poco; mentre a voce alta ci dicevano (e continuano a dirci) quanto siamo importanti, quanto alta è la nostra funzione. Altro sono le sacrosante tutele sindacali, alle quali troppo spesso si cerca di attentare, soprattutto attraverso gli zelanti contributi dei bempensanti editorialisti dei grandi quotidiani, che disegnano identikit di insegnanti fannulloni, suggerendo implicitamente: vi stiamo descrivendo gli insegnanti italiani. Enrico Panini qualche giorno fa, durante una trasmissione televisiva, ha chiesto al Governo di inserire nell’Atto di Indirizzo che - qualora si definiscano le risorse disponibili per affrontare il problema economico di tutti gli insegnanti - la Flcgil sarebbe disposta a sedersi al tavolo a discutere il problema del merito. Vale a dire: si tratta di due questioni differenti: da una parte gli stipendi miseri, con l’Italia fanalino di coda di tutti i paesi occidentali, di tutti gli insegnanti; dall’altra la valutazione e la valorizzazione di quanti lavorano molto e bene; e la stigmatizzazione di anomalie, malfunzionamenti, indegnità che pure esistono: assenteismo, inefficienza, impreparazione didattica e relazionale. Per contrastare le quali esistono delle regole, che troppo spesso vengono disattese Per non parlare di reati e condotte da codice penale; che tra noi insegnanti possono esistere come altrove. Ma il problema degli insegnanti pare interessare al ministro Fioroni. Nelle «Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2007/8» - tra vari provvedimenti significativi, come il ripristino del tempo pieno alle elementari e un’ulteriore «mazzata» ai «diplomifici» - è prevista una diminuzione del limite di tempo per intervenire con provvedimenti disciplinari nei confronti di insegnanti inadempienti o che abbiano compiuto atti contro la dignità della scuola o degli studenti. E la responsabilità ultima di decidere per i reati contro il decoro dell’istituto scolastico o la dignità degli studenti passa all’autorità scolastica in nome dell’autonomia. Il preside avrà la possibilità di sospendere un insegnante coinvolto in indagini per reati gravi o destinare a mansioni diverse dall’insegnamento chi ha manifestato incompatibilità ambientale. Il rischio di una deriva arbitraria esiste certamente: ma altrettanto esistono all’interno della scuola organi democratici che possono essere destinati al controllo e alla vigilanza rispetto ad eventuali comportamenti sospetti. Sta ancora una volta a noi insegnanti farli funzionare adeguatamente. Il problema è spinoso; ma il rischio - episodio di cronaca dopo episodio di cronaca nella realtà; editoriale fazioso dopo notizia urlata nella malafede di chi vuole distrugger e ogni barlume di credibilità della scuola pubblica – deve essere corso.Ripeto: le regole esistono, basta farle rispettare. E per troppo tempo la gestione è stata allegra, disattenta, tollerante. Un insegnante che non lavora, che si assenta continuamente, chesi defila, che interpreta con superficialità, disinteresse, incuria, timore il propriomandato lede innanzitutto il diritto all’istruzione di ogni studente; e poi, in prima persona i molti - tra gli800.000 docenti italiani - che lavorano con impegno, passione, competenza. Ogni insegnante italiano deve esigere e deve adoperarsi per uno stipendio che sia rappresentativo e premiante del ruolo, della preparazione, della funzione, della responsabilità che incarna. Ogni cittadino italiano deve, di conseguenza,pretendere cheidocenti italiani interpretino in maniera inappuntabile il proprio mandato costituzionale. Stipendi miseri e dichiarazioni di stima solo formali non vanno d’accordo: soprattutto oggi che gli insegnanti vengono chiamati- con una formula piuttosto enfatica e che non mi piace, perché denuncia chiaramente l’incoerenza tra intenzioni formali e intenzioni sostanziali di chi la usa - «protagonisti del cambiamento». In parole povere significa chiedere agli insegnanti un contributo da professionisti - non solo nella pratica didattica e relazionale quotidiana, ma anche nelle varie «sperimentazioni» (delle nuove Indicazioni Nazionali ad esempio; o dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione, per la costruzione di un biennio di scuola superiore unitario) - remunerandoli come bassa manovalanza. Come si dice a Roma: non è possibile fare le nozze con i fichi secchi.Non è civile.Non è di sinistra (ha ancora senso ricordarlo? Spero e penso di sì). E non è utile al Paese, alla sua crescita, al suo progresso.


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