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Unità: I bambini non sono pillole

Luigi Cancrini

10/06/2006
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l'Unità

Negli ultimi mesi il Centro Aiuto per il Bambino Maltrattato, un servizio del Comune di Roma che risponde a richieste della Procura della Repubblica per il Tribunale dei Minori e dei servizi sociali dei municipi, ha incontrato una sessantina di minori. La metà di questi erano bambini (sotto i dieci anni) che avevano subito abusi sessuali o violenze fisiche, l’altra metà aveva subito traumi psicologici gravi in rapporto a situazioni di serie difficoltà delle famiglie. Tutti questi bambini erano ovviamente «depressi» e la depressione era stata per loro il modo di richiamare l’attenzione degli adulti (a scuola, a casa o nei servizi) sulla loro condizione di sofferenza.
Leggo sulla prima pagina del Corriere della Sera con dolore (e diventerò depresso anch’io se queste proposte dell’Agenzia Comunitaria del Farmaco non verranno contrastate adeguatamente da un ministro serio come Livia Turco) che quello cui i nostri bambini sarebbero andati incontro se il Centro Aiuto del Comune di Roma (un Centro che non esiste nella gran parte delle città italiane) non avesse saputo dar voce alla loro sofferenza avrebbe potuto essere la somministrazione di «Prozac». Quella che era stata ottimisticamente presentata come la «pillola della felicità» all’interno di una straordinaria operazione di marketing negli anni Novanta e che era passata un po’ di moda negli ultimi tempi: dopo che la clinica aveva dimostrato che serve a poco, che non dà, cioè, la felicità e non libera dalla depressione. Quella che aveva dunque bisogno del rilancio assicurato, oggi, dalla Agenzia Europea del Farmaco e dal Corriere della Sera. Riproponendo per i bambini la possibilità di una violenza kafkiana della serie: «ti picchiano e/o ti abusano - tu piangi - piangere non sta bene - io ti do una pillola e tu non piangi più».
Difficile non stare male, del resto, da professionista della salute mentale e da psicoterapeuta che si occupa da una vita di problemi delle famiglie e dei bambini, di fronte alla disinvoltura di simili articoli e di dichiarazioni come quelle dei responsabili dell’industria che produce «le pillole della felicità». Dicendo nell’occhiello, in prima pagina, che la somministrazione del «Prozac» sarà possibile solo dopo una psicoterapia ma chiarendo poi nel testo, a pagina 21, che il fallimento delle cure psicologiche potrà essere dichiarato «dopo quattro sedute di analisi». Fatte da chi non si sa, perché l’accesso alla psicoterapia è di fatto negato ai bambini che non vengono da famiglie ricche (i servizi pubblici non la offrono se non in modo, meritorio ma sporadico, in una percentuale non superiore all’1% dei casi che ne avrebbero bisogno) e perché i bambini maltrattati o abusati in famiglia non vengono facilmente portati in psicoterapia da chi ha paura del fatto che il bambino parli. Ma nemmeno si può sapere in che modo, quelle sedute, vengano fatte: perché se l’allievo di una scuola di psicoterapia dicesse ai suoi didatti che per una “analisi” bastano «quattro sedute» verrebbe, credo, espulso dal corso. O bocciato e invitato a ricominciare i suoi studi.
Notizie come questa, in realtà, vanno smascherate per molti motivi. Dicendo con chiarezza che l’agenzia europea del farmaco dovrebbe cambiare nome e finalità occupandosi di salute invece che di farmaco, che la ricerca sugli effetti delle cure andrebbe affidata a persone che non hanno rapporti di alcun tipo con l’industria, che di psicoterapia debbono parlare solo gli psicoterapeuti e che un giornale serio dovrebbe muoversi con più equilibrio fra le esigenze dei cittadini e quelle dell’industria farmaceutica.
Il messaggio inviato deve essere contrastato, dunque, con molta forza. Dicendo, prima di tutto, che se vogliamo occuparci sul serio dei bambini e della loro salute dobbiamo lottare perché l’accesso alla psicoterapia sia garantito davvero a tutti. Una proposta di legge d’iniziativa popolare firmata da 50.000 cittadini italiani che intendeva far riconoscere questo diritto è rimasta ferma per tutto il tempo del berlusconismo, dal 2000 al 2006. Non riprenderla e non farla passare ora sarebbe, a mio avviso, quasi delittuoso. Mentre assai bella sarebbe invece, per il più importante dei giornali italiani, l’idea di una campagna per sostenere l’iter, l’approvazione e l’applicazione: parlando di «Prozac» dopo e non prima che questo fondamentale diritto sia stato assicurato.
Le questioni relative al potere sono tremendamente reali e la partita che si gioca intorno ai bambini depressi è una partita in cui girano molti soldi. Da una parte l’industria farmaceutica, la psichiatria medica universitaria ad essa più o meno apertamente collegata, l’insieme dei ricercatori e degli organi di stampa più o meno consapevolmente schierati dalla parte degli adulti che causano la loro “depressione”: con la loro negligenza, con la loro incapacità di ascoltarli o con i loro comportamenti violenti, sul piano psicologico o fisico. Dall’altra i bambini, che non riescono a dare voce alla loro sofferenza, i finanziamenti sempre più scarsi dei Comuni e delle Asl, la buona volontà di un’armata Brancaleone di operatori confrontati ogni giorno con un numero impossibile di casi da prendere in carico (ogni assistente sociale del comune di Roma ha in affidamento oggi almeno 200 bambini “depressi”) con l’aiuto, magari, di alcune fondazioni private (Vodafone nel caso del Centro Aiuto di Roma).
Riusciranno il governo di centro-sinistra e Livia Turco nel suo nuovo ruolo di responsabile della Sanità a rimettere in equilibrio uno scontro tanto squilibrato? Occupandosi dei bambini e delle loro famiglie per assicurare loro il diritto di essere curati e non imbrogliati dalla diffusione di pillole che inutilmente promettono una felicità che non sono in grado di dare? Io spero di sì. È sulla capacità di dare risposte a questo tipo di quesiti, in fondo, che si gioca la credibilità e l’efficacia di un governo da cui tutti, credo, ci aspettiamo molto.


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