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Unità: Gli studenti romani non andranno più in Africa

Il nuovo sindaco potrebbe annullare l’iniziativa scolastico-culturale voluta dalla precedente amministrazione

30/05/2008
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l'Unità

Marina Boscaino

Gli studenti romani potrebbero non andare più in Africa. Lo aveva già annunciato il nuovo sindaco di Roma, Gianni Alemanno, nel suo programma elettorale: i viaggi in Africa, organizzati dalle giunte Veltroni con le scuole del territorio (il progetto "Le scuole di Roma per l’Africa"), sono stati appunto definiti «turismo del disagio sociale». Quei viaggi - che coinvolgevano gli studenti delle scuole superiori - hanno avvicinato centinaia di giovani romani ad un mondo altro - diventato più vicino e tangibile - e ad una serie di attività, tutte strettamente collegate alla logica del donare: tempo, energie, fatica, sentimenti.
È di questi giorni una lettera aperta dei docenti «africani» rivolta ad Alemanno perché non si annulli il progetto: «i viaggi in Africa, a contatto con le straordinarie realtà della cooperazione romana laica e religiosa, hanno operato autostrade d’amore e spinto centinaia di giovani a prendere in mano il proprio e l’altrui destino, modificando comportamenti e promuovendo un’epidemia di generosità». Nello stesso appello si difende l’iniziativa «Ti racconto l’Africa», rivolta ai bambini delle scuole elementari: da anni gli studenti delle superiori raccontano la propria esperienza, condividendola con i più piccoli; la finalità è quella di costituire una gioventù più solidale e consapevole. Ce n’era davvero bisogno? Era proprio necessario tagliare su un’iniziativa che - assieme ai «viaggi della memoria» degli studenti delle superiori accompagnati dai reduci nei campi di lavoro e di sterminio - ha rappresentato una dei momenti più significativi di interazione tra scuola e istituzioni, e uno delle occasioni certamente più educative propiziate da tale collaborazione, che raramente risulta così formativa? A proposito di memoria: ai viaggi ad Auschwitz verranno affiancati quelli alle foibe, in un macabro bipartisan dell’orrore, in una sconcertante resa dei conti in cui ai motivi della storia oggettiva vengono sovrapposti quelli dell’ideologia, della parte, della fazione. In una necessità di omologare e perciò di depotenziare automaticamente il significato di una memoria che dovrebbe essere collettiva e non sottoposta allo scandaglio e alla ritorsione di ragioni altre.
Qualche tempo fa, infine, salutammo con soddisfazione l’inserimento del «menù etnico». Laura Marsilio, nuovo assessore alla scuola, ha decretato che l’iniziativa «ha dato scarsi risultati» e pertanto verrà soppressa. Per un giorno al mese nelle scuole dell’infanzia venivano serviti piatti etnici: in quel giorno - prendendo spunto dal cibo - si raccontavano fiabe, leggende, storie relative al paese individuato. Un primo abbozzo di intercultura che prontamente i nuovi amministratori stanno stroncando. Il sindaco ci informa che per «favorire lo scambio interreligioso anche attraverso la riproposizione delle tradizioni popolari cristiane» nelle scuole si ricorrerà al «presepe che, simbolicamente, rappresenta la massima espressione dei valori solidali e di incontro tra le culture, oltre che ad essere un elemento non marginale di indentità del nostro popolo». Una soluzione tradizionale, ma fantasiosa: e chi se ne importa dell’Africa, dell’accoglienza, della solidarietà, della memoria, dell’integrazione. Roma caput mundi: largo alla «celebrazione di eventi religiosi, feste e spettacoli di piazza, distillato millenario di tradizioni antichissime il cui significato sarà oggetto di nuova valorizzazione».


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