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Unità-Gli studenti credono alla scienza?

SOCIOLOGIA Una ricerca dell'università di Milano sulle iscrizioni alle facoltà scientifiche ribalta alcuni luoghi comuni Gli studenti credono alla scienza? Certamente più di politici e indus...

11/07/2005
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l'Unità

SOCIOLOGIA Una ricerca dell'università di Milano sulle iscrizioni alle facoltà scientifiche ribalta alcuni luoghi comuni

Gli studenti credono alla scienza?
Certamente più di politici e industriali

di Andrea Cerroni*

Da più parti si lamenta una profonda crisi delle vocazioni scientifiche fra i giovani. Il Miur ha appena lanciato un progetto "Lauree scientifiche" proprio rivolto a sanare questa crisi. È certo che di scienza ce ne sia poca, e che anzi essa vada difesa quotidianamente. Dunque, ben venga qualsiasi intervento. Ma che si possa parlare di una crisi delle vocazioni dei giovani è dubbio, come emerge da una ricerca in corso all'Università Milano-Bicocca (di prossima pubblicazione in un numero speciale dei Quaderni di Sociologia dedicato a questi temi).
Il dato dal quale si deduce la crisi è quello delle declinanti immatricolazioni nei corsi di laurea in Fisica, Chimica e Matematica. La spiegazione consueta è che la scienza sarebbe "più difficile" o "più faticosa" delle altre carriere, e quindi rifuggita. In effetti, questo può esser vero di tutte le carriere universitarie nel nostro Paese, lunghe, precarie e (comparativamente) mal retribuite. Ma la spiegazione sembra riversare troppo facili preconcetti sui giovani, piuttosto che tener conto delle complesse trasformazioni con cui si confrontano tutti, ma soprattutto il nostro Paese.
Un primo dato contrastante che va considerato è, infatti, il clamoroso successo riscosso da manifestazioni, riviste, trasmissioni radiotelevisive e collane editoriali dedicate alla scienza. Come conciliare diffuso interesse e crisi delle vocazioni?
A ben guardare, poi, nella Facoltà di scienze si nota piuttosto una tendenza ormai decennale verso le aree "bio" (+34%) e "info" (+89%), legata ai grandi trend della scienza, e dunque indipendente dai giovani, e anzi su di questi influente.
Guardando, inoltre, al più lungo periodo e a tutto il comparto scienza, si scopre che gli iscritti a corsi scientifici sono in aumento (Fonte: Conferenza Nazionale dei Presidi di Scienze e Tecnologie e stime su dati Miur)
L'intero comparto è anche in buona tenuta percentuale. Non di "crisi delle vocazioni", allora, si deve parlare, ma di dinamiche interne alla scienza e, semmai, di analisi discutibili.
Allargando ancora lo sguardo si può aggiungere, però, qualche altra riflessione.
Nella società della conoscenza la scienza non è più quella che si fa nei soli corsi di laurea in Fisica, Matematica e Chimica, o nella Facoltà di Scienze, così come di essa non ci si occupa più solo nelle università. Dietro alla lamentata "crisi" si celano, in altre parole, fraintendimenti sul merito cognitivo della scienza, anche all'interno della stessa Facoltà di scienze. E questo, sì, può contribuire a offuscare il valore culturale e sociale della scienza anche presso i giovani, finendo per avvantaggiare lauree più tecnico-applicative o umanistiche.
E la specularità fra scarsa apertura della Facoltà di Scienze al mondo economico-sociale e scarsissima propensione delle nostre imprese alla ricerca fa sì che la crisi nel nostro high-tech acuisca la crisi della Facoltà di Scienze.
Si pensi che, se i dottori di ricerca in Italia sono pochissimi (1/3 della media europea), quelli che poi vengono assunti dalle imprese (e mancano persino dati ufficiali) sono solo il 5-10%, mentre in Francia e Germania viaggiano al 20-30% e negli USA arrivano al 55% (per gli ingegneri ancora di più). D'altra parte, tutti gli indicatori della ricerca di base (almeno nei settori più promettenti) segnalano da anni gravi difficoltà.
Un solo dato: siamo gli unici ad avere diminuito i ricercatori fra 1991 e 2000, e del 12% (Eurostat). Nello stesso periodo in Europa mediamente sono aumentati del 30% ma in Francia del 51% e la Spagna li ha quasi raddoppiati, superandoci, mentre la piccola Finlandia ha raggiunto la nostra metà. E negli ultimi anni la situazione competitiva è certamente peggiorata.
Non si può, allora, chiedere ai nostri giovani maggior lungimiranza delle scelte pubbliche della politica o di quelle private degli imprenditori. Senza interventi in queste sedi, un aumento degli iscritti a lauree scientifiche aumenterebbe solo la disoccupazione intellettuale.
In conclusione, dovremmo lanciare lo slogan che la ricerca di base è più pratica di quanto non si pensi negli ambienti della "cultura del fare" e la scienza è più cultura di quanto non si pensi in taluni ambienti intellettuali. Crisi c'è, dunque, ma di una diffusa visione della scienza. E se i giovani manifestano ancora interesse in essa, quali risorse giacciono inutilizzate nel Paese che le ha dato i natali?
* Sociologia della scienza e comunicazione della scienza
Università Milano Bicocca


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