Unità: Gli assassini della memoria
Il caso Faurisson
Valentina Pisanty
Qualche settimana fa un professore di Scienze Politiche dell’Università di Teramo ha organizzato un convegno intitolato «La storia imbavagliata» nell’ambito di un suo «master Enrico Mattei», il cui sito è consultabile su https://www.mastermatteimedioriente.it. Basta dare un’occhiata al programma del convegno - che ha ospitato interventi come «L’Olocausto fra storia e teologia» e «Dopo Soros: “lobby ebraica”, tabù infranto?» - per rendersi conto che si è trattato di un’iniziativa smaccatamente antisemita e negazionista, imperniata sulla solita teoria della cospirazione ebraica. Il punto forte del convegno è stata una videoconferenza di Robert Faurisson, nel corso della quale il negazionista francese - imbeccato da una compiacente giornalista - ha avuto modo di ribadire per esteso le sue note tesi circa l’inesistenza delle camere a gas naziste.
È notizia di questi giorni che lo stesso professore di Teramo ha invitato Faurisson a tenere il 18 maggio su questi temi una conferenza presso la sala lauree, dunque nel cuore dell’Università. Faurisson, per chi non lo sapesse, è stato protagonista di un caso mediatico scoppiato in Francia una trentina di anni fa.
Ex-critico letterario dalle tendenze spiccatamente paranoiche, dal 1976-77 Faurisson comincia a bombardare le principali testate francesi con lettere in cui chiede che venga aperto un dibattito sul “problema delle camere a gas”. Abboccano alla provocazione Le Matin e Le Monde che pubblicano un paio delle sue missive. Segue un’accesa polemica mediatica che travalica i confini nazionali. In seguito allo scandalo, il preside dell’Università di Lione 2 sospende Faurisson dal suo incarico di docente di Letteratura francese. Faurisson non demorde e pubblica un’altra lettera su Le Monde, nella quale parla della sua conversione al “revisionismo” e si lamenta delle persecuzioni che ritiene di avere subito, atteggiandosi a vittima perseguitata, e ottenendo il supporto “a scatola chiusa” di diversi intellettuali di sinistra (tra cui Noam Chomsky).
Da allora, Faurisson è stato l’ispiratore e il catalizzatore di quella corrente pseudo-storica oggi nota come negazionismo, la quale sostiene che la Shoah non sarebbe mai avvenuta e che le camere a gas naziste sarebbero un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere ingenti riparazioni di guerra alla Germania sconfitta con le quali finanziare lo stato di Israele. Chiaramente, l’invito rivolto a Faurisson va inteso come una provocazione, e possiamo immaginare che gli organizzatori del convegno in questo momento si stiano rallegrando del clamore suscitato.
Saputo dell’iniziativa, il rettore dell’Università di Teramo ha deciso di annullare la conferenza, ma l’organizzatore del master ha fatto sapere che farà comunque tenere una lezione allo stesso Faurisson.
È bene chiarire alcuni punti. Nessun essere ragionevole può impedire a qualcuno di esprimere le proprie idee. Nessuno può sbattere in galera chi professa opinioni eretiche, per quanto false e perniciose. Ma la questione è un’altra: l’università è un luogo in cui si suppone che vengano rispettati certi standard minimi del dibattito scientifico. Invitare qualcuno a parlare nelle aule di un istituto accademico significa riconoscergli una dignità, appunto, scientifica, ed è per questo che l’Università di Teramo ha non solo il diritto, ma anche il dovere di chiudere le sue porte a Faurisson (tanto più che nulla fa presagire che l’intervento del negazionista verrà accompagnato da un contraddittorio). Esiste una letteratura che dimostra che i negazionisti (Faurisson in testa) sono scientificamente nulli. Essi non rispettano le regole più elementari del dibattito storiografico, selezionano i documenti a piacimento, si sottraggono ai controlli incrociati su cui si fonda qualsiasi analisi storica seria e, soprattutto, la loro ipotesi non sta in piedi senza l’ausilio di una qualche versione della teoria del complotto giudaico-massonico per la conquista del mondo. Sarebbe auspicabile che vivessimo in una società civile in cui fosse sufficiente dimostrare l’irragionevolezza di queste tesi per chiudere il discorso una volta per tutte.
Università di Bergamo