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Unità: Fischi per la Gelmini. E subito interviene la polizia

La ministra contestata in una scuola romana. Gli agenti in borghese identificano chi protesta

11/09/2008
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l'Unità

/ Roma

NON C’È difesa per lo studente che prenderà 5 in condotta. Bocciato. Per il ministro titolare della riforma c’è invece un modo per bloccare fischi e contestazioni: fa-

re identificare dalle forze dell’ordine chi ha osato dimostrare, anche in modo vivace, di non essere d’accordo con le nuove norme che disegnano la scuola del futuro guardando al passato.

Aula magna del liceo «Newton». Gremita. Gran caldo e ospiti illustri. Per la presentazione del libro di Giovanni Floris, La fabbrica degli ignoranti, non hanno mancato l’appuntamento il presidente Giuliano Amato, nonostante la questione della presidenza della commissione Attali in versione capitolina. Ma anche il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, nell’occhio del ciclone da giorni che, impavida e sicura di sè, affronta una platea che già è scritto che, almeno in parte, le riserverà un’accoglienza non proprio amichevole. D’altronde se viene messo in discussione un posto di lavoro, anche se precario, non è che ci sia proprio da aspettarsi un’accoglienza amichevole.

Ed è andata proprio così. Il ministro compare e il fischio parte. «State portando la scuola allo sfascio» grida una ragazza. «Vergogna» arriva da un’altra parte. «Così non si migliora niente». «Fateci lavorare». Solerti ma discreti agenti in borghese intervengono. Chiedono i documenti, annotano i nomi, allontanano i contestatori. Alla fine sul registro dei cattivi ci finiranno in otto. Mentre il dibattito sui modi di intendere una scuola migliore prosegue, presente l’autore, moderato da Ferderico Geremicca, anche per evitare il prolungarsi della «disfatta» a cui il sottotitolo di Floris fa riferimento, si può assistere ad una imprevista lezione di tenuta dell’ordine pubblico che rischia di scivolare nell’intimidazione. Peccato che in altre occasioni, certamente più pericolose, non ci sia stata la stessa capacità di intervento. Di questi tempi sono evidentemente più pericolosi i precari degli ultras camorristi. Giusto per fare l’esempio più recente.

Il ministro difende la sua riforma «che non guarda al passato» ed «il governo responsabile» di cui fa parte che deve, per necessità, «rivedere le modalità di spesa». L’imperativo è uno: tagliare. A cominciare dai posti di lavoro, ed è una certezza, in cambio di ipotetiche promesse su tempo pieno, migliori remunerazioni e «carte oro» che aprirebbero la via dell’aggiornamento attraverso l’accesso libero a musei, cinema, teatri e tutto quanto fa cultura. Il ministro in cattedra fa anche la lezione al Pd rimproverandolo di avere poca coerenza. «Bisogna fare una scelta: non si può essere riformisti, un partito che guarda al futuro e ai giovani, e poi semplicemente scegliere la mobilitazione senza avanzare proposte». Anzi, contestando chi «protestano contro il piano programmatico senza conoscerlo visto che non l’ho ancora presentato».

Giuliano Amato, professore, non ci sta: «Lo lasci dire a uno di lunga esperienza, il Pd è un partito che le proposte le farà. Non può pensare che sia solo una battaglia contro di lei». E’accorato Amato quando deve riconoscere che «la scuola non riesce ad essere una priorità per nessuno, anzi è una priorità conclamata e non realizzata». Cita Gramsci, la necessità di allargare sempre più la platea fornendo strumenti a tutti, indipendentemente dalle possibilità delle famiglie in cui sono nati e, a proposito dei tagli, ammonisce «non si può dire: voi ve ne andate e basta». Il dialogo prosegue. Il ministro non accenna a fermarsi. Viene preanunciata anche una riforma della scuola media. Il presidente Amato auspica la ripresa del dialogo. Un esercizio che, in questi ultimi quindici anni, condizionato dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo ha perso la sua principale capacità che è quella del confronto «senza necessariamente doversi trovare sempre d’accordo». Insomma c’è «un limite oltre il quale la partigianeria politica diventa ottusa e lontana dai problemi del Paese». Vale per la scuola. Ma anche per l’Attali?


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