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Unità: «Fini sbaglia, uccidere non è pari a bruciare una bandiera»

MERCEDES BRESSOLa presidente del Piemonte: «La destra non si rende conto che contro gli immigrati usa gli stessi termini di chi fomentava l’odio verso gli ebrei»

07/05/2008
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l'Unità

di Maria Zegarelli / Roma

«C’è una grande differenza tra un omicidio e il grave gesto delle bandiere bruciate a Torino, è un errore paragonarli». Come è un errore definire «bulli» i responsabili del brutale pestaggio a Verona. «Non sono bulli, sono naziskin mossi dall’odio per il diverso». Mercedes Bresso, presidente del Piemonte, nonché della Fiera del Libro di Torino che sta aprendo i battenti all’insegna delle polemiche, non fa sconti a chi ha dato fuoco al simbolo dello stato di Israele, ma è sicura che la Fiera «si svolgerà senza bisogno di misure straordinarie per la sicurezza». Ma è altrettanto ferma nel dire che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avrebbe dovuto usare cautela nelle sue dichiarazioni.
Presidente, Fini dice che le sue parole sono state strumentalizzate. Il dibattito è piuttosto acceso. Lei cosa ne pensa?
«Quanto è avvenuto a Verona non può essere paragonato ai fatti di Torino. Un giovane è stato ucciso per motivi futili e peraltro, secondo quanto sembra emergere, per tensioni di tipo politico. I naziskin che hanno colpito l’hanno fatto perché probabilmente hanno individuato in Nicola Tommasoli un ragazzo diverso da loro, forse per come era vestito, forse perché pensavano fosse di diverse idee politiche. Il caso delle bandiere bruciate è molto grave dal punto di vista politico. Ci sono movimenti che - a partire da posizioni politiche anche comprensibili, come la critica alla politica di Israele e il sostegno alla politica palestinese, condivise non solo dalla sinistra - hanno aggredito la bandiera in segno di disprezzo e di volontà di violenza nei confronti dello stato di Israele. Ma bisogna distinguere i due reati: il primo è un omicidio, il secondo un reato di opinione».
Teme che dichiarazioni come quelle del presidente della Camera possano fomentare ulteriori tensioni?
«Diciamo che in questi casi non ha senso fare paragoni. Un conto è un omicidio, un conto è un delitto di opinione. Il fomentare il disprezzo per i diversi è molto pericoloso. L’atto assurdo compiuto dagli autonomi che hanno bruciato le bandiere avviene in un momento in cui la destra sta alimentando in maniera artificiosa la criminalizzazione degli immigrati, dei rom. Qui, in Consiglio regionale c’è un consigliere leghista che quando fa ostruzionismo attacca la giunta sostenendo che si stanno sprecando soldi per i rom. L’accusa ai rom di essere nella loro totalità dei criminali è l’esatto equivalente delle accuse che si facevano agli ebrei. Questa gente non se ne rende conto, quando deve prendere i voti non si fa scrupoli e usa gli stessi termini di chi fomentava l’odio verso gli ebrei. Il principio è sempre lo stesso: si prende una etnia, una popolazione e si lancia un anatema. Poi, però, non ci si rende conto che le frange estreme della destra si galvanizzano, fanno della violenza il loro linguaggio, fino ad arrivare agli atti gravissimi da parte di persone psichicamente più deboli, che danno fuoco alla roulotte, pestano a morte le persone. Sono gli stessi che usano gli stadi per comportamenti che spesso sono di tipo nazista».
Presidente, c’è chi le contesta di aver dedicato ad Israele la Fiera del libro. Un suo consigliere è in disaccordo con lei. Teme incidenti?
«Perché non avrei dovuto invitare scrittore israeliani? Quel consigliere del Pdci commette un errore che ritengo pesante. Rivendico il fatto che la Fiera abbia il diritto di invitare qualunque paese. Israele è un paese democratico, la cui politica può essere criticabile, come quella di qualunque altro paese. Trovo ridicolo quanto sta avvenendo. L’anno prossimo avremo come ospite l’Egitto, che sarà sicuramente simpatico, ma certamente non è un paese democratico. Torino saprà affrontare questo appuntamento con serenità e senza bisogno di misure straordinarie di sicurezza».


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