Unità: Facciamo sentire la voce

Roberto Carnero

scrittore

robbicar@libero.it

Non conosco un solo insegnante che apprezzi l'operato del ministro Gelmini. O meglio: magari a qualcuno sta bene il ritorno della bocciatura per il voto in condotta o l'idea (generica) di una maggiore severità della scuola. Ma sono decisamente più numerose le cose che non piacciono: in primis i tagli dei fondi, che significano - è evidente - minori risorse per il funzionamento degli istituti. Nessuno, dico nessuno, crede che davvero il ministro abbia intenzione di “redistribuire” le risorse per motivare economicamente i docenti più bravi.

Per questo mi aspettavo che la maggior parte dei miei colleghi professori aderisse allo sciopero generale della scuola proclamato per oggi. Però, parlando con gli insegnanti del liceo dove insegno (in un capoluogo di provincia del Nord), ho capito che potremmo essere in pochi ad astenerci dal lavoro. Le motivazioni sono le più diverse: è un momento difficile, bisogna dare prova di serietà, tanto non serve a nulla, ci pagano già così poco che non posso permettermi decurtazioni dallo stipendio.

Ecco, a questi insegnanti mi sento di dire che invece è importante scioperare. Se è evidente che il risultato di uno sciopero dipende dal numero delle adesioni, questa volta ciò è ancora più vero. Perché un'astensione massiccia sarebbe un segnale chiaro di sfiducia alla “riforma dei tagli” e a una prassi di governo che rifiuta sistematicamente il confronto dialettico con l'opposizione. Anche su una materia così delicata come l'istruzione procede, incredibilmente, a colpi di decreti.

L'adesione a uno sciopero viene quantificata con precisione: se la maggior parte dei docenti vi aderisse, sarebbe il segno che il Paese non è con Berlusconi come lui continua a sostenere. I professori sono comunque una parte importante della società, e la loro protesta non passerebbe inosservata.