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Unità: Esami di riparazione, quattro motivi per dire no

Marina Boscaino

23/10/2007
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l'Unità

La settimana appena trascorsa di scioperi e manifestazioni degli studenti - nuovi ne sono stati annunciati-, l’ordine del giorno richiesto da Calderoli e approvato in Senato sull’illegittimità del decreto di Fioroni sulla normativa relativa ai debiti scolastici e sul ripristino - di fatto - dell’esame di riparazione ha matenuto desta l’attenzione sulla questione.
Il collega Luigi Galella (l’Unità, 4/10/07) pensa ai suoi studenti: «già smarriti nell’apprendere che avrebbero dovuto “pagare” i debiti entro l’ultimo anno, pena l’esclusione dall’esame di Stato (…) Non ci sono più scappatoie, vie di fuga, isole felici. (…) E allora? Allora ci si inventa qualcosa». Io penso ai miei, che da circa 6 settimane sanno di dover essere scrupolosamente monitorati per valutare - in questa prima fase dell’anno - se il debito contratto durante quello passato è stato risolto; o se dovremo farci carico - noi, rigorosamente noi docenti, noi scuola - del mancato apprendimento dei nostri alunni. Non ci stiamo inventando nulla che non sia già contemplato nelle pratiche che caratterizzano la buona scuola. A ciascuno il suo. E poiché l’esperienza soggettiva non è mai probante della realtà - in un senso e in un altro - proviamo ad affrontare il problema - definitivamente sollevato dall’uscita del decreto del ministro Fioroni, esame di riparazione sì, esame di riparazione no - da un altro punto di vista.
Fioroni ha prima stabilito che i debiti non sanati avrebbero impedito l’ammissione all’esame; e poi individuato un modo per uscirne fuori. Senza valutare le conseguenze - in termini di praticabilità, di equità, di risultati concreti - che un provvedimento improvvisato avrebbe potuto portare con sé. Due dati. L’idea motrice è quella di una presunta "serietà". Uno specchietto per allodole. Mentre - di estremamente reale e problematico - esiste l’evidenza che il sistema dei debiti scolastici, così come oggi è affrontato, rappresenta un’innegabile criticità. Forse non crede il ministro che il lavoro che si sta svolgendo nel mio come in molti altri istituti sia improntato alla serietà? O che gli insegnanti che si dedicano con competenza a quella parte fondamentale della didattica che si chiama recupero non siano mossi da quel tipo di atteggiamento?
Cercherò qui di spiegare - pacatamente per quanto mi è possibile - perché sono fermamente contraria al ripristino degli esami di riparazione e, in generale, a tutto l’impianto del decreto. 1) Si tratta di un inopportuno ritorno al passato, superato dalle evidenze della pedagogia e - soprattutto - dal fatto che i costi del recupero ricadevano interamente sulle spalle delle famiglie, a botte di lezioni private estive, esose, esentasse e non accessibili a tutti. 2) Mi si potrebbe obiettare che - nel caso del decreto - il recupero sarebbe a carico della scuola. Falso. Viene prevista dal decreto stesso una collaborazione con soggetti esterni, completamente avulsa da regole o limiti (un Cepu per il recupero, come ha acutamente osservato Enrico Panini). Con l’aggravio ulteriore - dal punto di vista dei valori e dei principi - che si esternalizzerebbe una parte della didattica fuori della scuola 3) "È tutto scritto molto bene su un vecchio libro di Lombardo Radice nel quale si descrive come gli adolescenti e i giovani oscillino tra la passione per un certo studio e l’odio per un altro, prima di trovare un equilibrio intellettuale", ha dichiarato qualche giorno fa Tullio De Mauro al "Corriere".
È sbagliato tirare le somme alla fine di ogni anno?
«C’è una fase di maturazione lenta, fino a 18 o 20 anni, che è preceduta da numerose oscillazioni. Per questo motivo ritengo che il sistema ideale sia quello di tenere conto della media complessiva dei risultati. Puoi andar male in Matematica e bene in Storia o viceversa, l’importante è che ci sia una certa media minima». 4) Un simile provvedimento consentirebbe definitivamente alla scuola di abdicare ad una funzione culturale, permettendo interventi esterni e annacquando ulteriormente considerazione sociale e fiducia in un patto di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia.
Bene ha fatto l’Unione degli Studenti (peraltro non consultata dal ministro) a richiedere l’immediata sospensione del decreto. Perché il problema del recupero esiste, ma non si risolve né con una reintroduzione surrettizia dell’esame né con improvvide aperture all’esterno. Si risolve richiamando a regole - quelle sì, di serietà e rigore - che individuino nella funzione ordinaria e obbligatoria dell’insegnante (naturalmente con le opportune risorse, alle quali mai - in un caso o nell’altro - si fa riferimento) anche quella del recupero. E attraverso una riconsiderazione generale di tutta la partita dell’insuccesso scolastico, dei limiti del modello trasmissivo sul quale ancora tanta scuola continua a sopravvivere e all’incentivo e alla promozione di modalità didattiche cui il ministro continua a far riferimento, ma che raramente vediamo applicate nei provvedimenti che emana.


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