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Unità: Equità e differenza, è la scuola "democratica"

Come garantire a tutti la possibilità di entrare in possesso di ciò che serve nella vita?Muoversi bene, imparare presto e bene a leggere e scrivere l’Italiano - che stiamo perdendo Marco Rossi Doria

09/10/2010
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l'Unità

Cos’è una scuola democratica? Per cercare le risposte a questa domanda - cruciale per un governo alternativo - bisogna chiedersi come dare basi solide al sapere di tutti e di ciascun bambino e ragazzo che vive in Italia. Su questo le differenti ricerche, nel campo pedagogico, psicologico e delle neuroscienze e l’esperienza dei sistemi scolastici di tutto il mondo dicono che l’acquisizione precoce e ben strutturata dei saperi fondamentali è la condizione indispensabile per apprendere anche dopo, avere un progetto di vita ed esercitare cittadinanza. Dunque, ci sono delle cose irrinunciabili, da imparare presto nella vita. E vanno rimossi gli impedimenti affinché ciò accada, nella misura del possibile per ognuno. Ma cosa sono queste cose da imparare presto nella vita?Ce lo dicono in parte le indicazioni per la nostra scuola di base. In primo luogo muoversi fisicamente bene. Esprimersi in diversi modi e contesti. Imparare presto e bene a leggere, comprendere e scrivere la lingua italiana. Perché la si sta perdendo in termini di lessico, di costruzione sintattica, di ortografia. Eperché solo l’Italiano può oggi assumere la funzione decisiva di veicolo di nuova cittadinanza per chi arriva, senza negare le identità di ognuno. Acquisire i cardini della matematica e le procedure della logica indispensabili quanto la lingua a orientarsi nella complessità. Comunicare in una lingua straniera. Perché prima avviene e più si potrà migliorare poi. E perché mette su un piano di parità bambini italiani e non italiani rispetto al nominare il mondo in modo altro. Sapere la geografia e conoscere le basi di funzionamento della biosfera per guardare, insieme, ai problemi globali comuni, fin da piccoli. Sapere le linee fondamentali della storia, in ordine cronologico come raccomandava Braudel; e le grandi questioni antiche eppure aperte dell’umanità. Ma c’è anche da fare invadere la scuola dalla musica. Suonata insieme. Perché, insieme alla danza, è una lingua universale e sviluppa comunità; favorisce la creatività unitamente al rigore e la realistica valutazione della propria reale competenza e di quelle costruite insieme con gli altri. Tutte queste cose si imparano meglio con un approccio fondato sulla ricerca, sulla co-costruzione di procedure e di creazioni. Sul laboratorio. Che funziona proprio se condotto con rigore. In secondo luogo - maal contemposi deve iniziare a imparare presto la cura delle coerenze tra contenuti e forme, la capacità di ideare, organizzare e portare a compimento azioni, opere, prodotti, da soli e insieme agli altri. E presto si deve avviare l’allenamento alla fatica e alle mediazioni che comporta. Per chi nasce in famiglie ben scolarizzate, l’acquisizione delle conoscenze nelle diverse discipline può avvenire anche altrove dalla scuola. Per chi non ha questo privilegio no. Perciò: assicurare un solido sapere di base in età precoce a chi non ha altra possibilità di farlo è esattamente ciò che distingue una scuola democratica. Una scuola democratica non è, dunque, contraria al merito. Al contrario, il poter acquisire merito, potenzialmente, da parte di tutti quelli che la frequentano è il suo mandato, è ciò che la rende repubblicana in senso proprio. Quello che, invece, non può essere il suo mandato è che vi sia una meritocrazia intesa in modo indipendente dalla discriminazione positiva indispensabile a compensare le differenze di partenza. Così i temi dell’equità e della differenza vanno rimessi al centro della politica per la scuola. Ma cos’è l’equità? Spesso l’equità a scuola - anche entro il nostro mondo di centro-sinistra - è stata intesa come il dare la stessa scuola standard a tutti: stesse ore di Italiano, Scienze, Matematica, offerte nello stesso modo. Ma questo non fa i conti con le differenze. Le rimuove. E le differenze, però, esistono. Allora: come dare diritto uguale a ragazzi che sono tra loro diversi per stili cognitivi, conoscenze di partenza, culture, modidi essere e fare? Non basta dire “eguali” per risolvere questa questione. Anzi, spesso è sbagliato. Va detto “diversi”. Perché è solo dalla diversità che è possibile negoziare i termini di un’effettiva eguaglianza. Nei confronti di una destra che, ben al di là degli estremismi della Lega, ha un’idea di scuola omologante perché fondata sulle funzioni trasmissive, che riducono le opportunità di apprendere e misurano il merito in modo riduttivo rispetto a una promozione delle persone che accolga le differenze, il centro-sinistra non può più rispondere con la mera difesa della scuola standard uguale per tutti. Equesto lo dovremmo imparare dalle scuole. Che già da tempo danno risposte positive alla diversità, rispondendo ai bisogni di Mario e Segyeij, di Carla e Ida e Nadim. Le persone sono già al centro del grande cantiere della scuola italiana. Altrimenti non reggerebbe. Si tratta di un’opera immensa, di un artigianato civile diffuso. Macon pochi mezzi e non sostenuto abbastanza, neanche da noi. Oggi il centro-sinistra deve poter accogliere l’evidenza che i bisogni formativi non sono uniformi. La rinuncia all’offerta standard dovrà essere accompagnata da un’idea di equità che ci fa finalmente uscire dal ventesimo secolo. E che si muove in tre direzioni contemporaneamente. Dà di più a chi parte con meno. Offre a ciascuno le opportunità sia per recuperare le proprie parti deboli che per nutrire le proprie parti forti, inclinazioni, talenti. Dedica spazi e tempi per fare scoprire a ognuno le proprie parti nascoste, non conosciute. Questo approccio necessita di un tempo-scuola duale, con momenti per tutti e momenti secondo i diversi bisogni. Chiama al superamento della rigida corrispondenza tra aula e classe. Il che richiede, necessariamente, il fatto che le aule diventino dei laboratori tematici, delle botteghe cognitive, pensati per livelli di competenza, con obiettivi e crediti modulari soprattutto dopo la scuola primaria; e che siano i ragazzi a girare anziché i docenti, facendo così privilegiare il gruppo di lavoro su compito rispetto alla lezione frontale. Tutto questo muta i termini stessi del governo degli spazi, della didattica, delle docenze. Ciò implica di allargare il tempo per il confronto tra insegnanti, di pensare a un organico a ciò funzionale, di rivedere il contratto scuola. E’ difficile? Sì. Ma non c’è alternativa se si vuole una scuola autenticamente democratica. E’ tempo di cambiare. v


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