Unità: Epifani: salari e pensioni, autunno di lotte
Intervista a “l’Unità”: «Crisi pesante, ma il governo ignora le difficoltà delle famiglie» «Chiediamo una politica fiscale che restituisca ai lavoratori mille euro in tre anni»
di Oreste Pivetta
Ancora qualche settimana per capire le intenzioni del governo, e poi l’autunno: non è detto che sia un «autunno caldo», ma sarà un autunno di lotte, se si continua così. Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, rilancia il traguardo «mille euro», una politica fiscale che restituisca in tre anni mille euro ai redditi fissi e anticipa «mobilitazione» se le risposte non verranno, ripassando i nostri guai: da un’economia immobile alla caduta del potere d’acquisto delle famiglie, alla forbice che si apre tra ricchi e arricchiti, poveri e impoveriti, dalle promesse (e dalle minacce) della politica alla realtà del lavoro. Realtà nera, facendo la somma di cassa integrati, licenziati, precari, «eccedenti» previsti (basterebbero Alitalia e Telecom). Bisognerebbe pure contare morti e feriti dal momento che una delle mosse del governo è stata quella di «smontare» quanto per la sicurezza aveva costruito il governo precedente.
Guglielmo Epifani, cominciamo da un argomento popolarissimo: i saldi. I giornali ne hanno parlato con enfasi, prima e dopo: prima della corsa e dopo dei bilanci, non proprio felici. Tanta enfasi non è anche l’indicazione della patologia grave di una sistema in crisi strutturale, che cerca di salvarsi, come in pugili, chiudendosi in angolo?
«È la conferma del fatto che il potere d'acquisto delle famiglie è basso e che il livello dei consumi è fermo. È la manifestazione di un problema la cui gravità il governo fa finta di non vedere. Sta andando male per l’Italia e ne parlammo (nei parlai io stesso proprio sull’Unità) prima delle elezioni. Dissi che la condizione del paese era quella di un malato che si stava aggravando e che le forze politiche anche in campagna elettorale si sarebbero dovute confrontare con i temi concreti dell’economia e del malessere sociale. Ma se ne parlò poco e soprattutto ne parlò poco e male la coalizione che poi ha vinto e che aveva indicato a proposito di fisco progetti non proprio condivisibili e non certo utili di fronte a un problema di bassi salari e di borsa della spesa in sofferenza. Difficile credere che la stessa coalizione possa adesso cambiare strada... Difficile credere... Ma sarebbe un dramma se si continuasse a far finta di niente, lasciando salari e pensioni in balia di sè stessi, con la scusa di impedire la spirale in salita dell’inflazione sospinta dai salari. La verità è che l’inflazione si mangia salari e pensioni».
Siamo al ritornello di Sacconi, che anche ieri (vedi l’intervista alla Stampa) ci raccontava di come i salari, se crescono, alimentino l’inflazione e di come, perchè crescano i salari, bisogni aspettare che cresca la produttività. Insomma i salari lasciamoli sempre per ultimi...
«Non è solo l’idea di Sacconi. La cosa certa è che l’inflazione si mangia giorno dopo giorno il potere d'acquisto delle famiglie, colpendo soprattutto i giovani, gli anziani e il Mezzogiorno, dove non a caso la picchiata dei consumi è più sensibile».
Contro il governo ieri si schierava anche il confindustriale Sole24ore. Nell’editoriale Guido Tabellini bocciava le eventuali invenzioni antispeculative (alla Tremonti) e chiedeva invece «una riduzione delle imposte sui redditi da lavoro», con beneficio, spiegava Tabellini, della produzione, sollievo delle famiglie, rilancio dei consumi.
«Credo che anche a Confindustria sia chiaro che il problema di fondo non è la produttività ma è la perdita del potere d’acquisto e che sarebbe quindi ora che il governo si decidesse ad una conseguente azione fiscale. Mentre siamo alle promesse».
E all’abolizione dell’Ici, che certo non aiuta i più deboli. Il governo, intanto, vi invita a un “patto”: in cambio, vi darà qualcosa...
«Sento parlare di patti, ma ho la sensazione che siano patti fondati sul nulla. Un patto si fa scrivendo con chiarezza premesse, strumenti, obiettivi. Vorrei risparmiare al paese accordi virtuali, che non servono a nulla, neppure a risollevare il morale depresso».
Insomma, governo bocciato?
«La situazione è difficile e molte difficoltà nascono al di là dei nostri confini. Pensiamo alla globalizzazione in questa fase, alle vicende di paesi come Cina e India, alla loro influenza nel determinare gli aumenti di valore delle materie prime, alle manovre speculative, alle instabilità politiche e ad altro ancora. Se guardo un po’ più vicino, se guardo all’Europa, mi sembra poco appropriata la scelta della Bce di aumentare i tassi: un grave errore, di fronte alla strategia della Federal Reserve americana, che ha scelto la via opposta. Con il risultato che i tassi americani sono la metà di quelli dell’eurozona. Non credo che questo aiuti a frenare i prezzi: purtroppo gli italiani se ne accorgeranno. Se mai frena lo sviluppo. Ma anche il governo italiano ha le sue responsabilità. Qualcosa si poteva fare. Ripetiamo: in primo luogo una politica fiscale a sostegno di redditi fissi e pensioni. Poi si potevano evitare tagli indiscriminati alla spesa pubblica, sottraendo di fatto risorse ai consumi, si poteva liberalizzare mercati ancora troppo chiusi, si poteva investire in opere pubbliche...
Non siamo contro i tagli: siamo per scegliere, evitando di deprimere scuola, ricerca, innovazione».
Avete chiesto mille euro in più in tre anni nelle paghe.
«Un intervento di detassazione, programmato nel corso di tre anni, obiettivo mille euro».
Invece vi ritrovate a fare i conti con l’inflazione programmata...
«L'inflazione programmata è stata fissata all'1,7% e questa percentuale scende all'1,16% per il drenaggio fiscale. In sostanza il livello finale è meno di un terzo dell'inflazione fissata dall'Istat e ancora meno dell'inflazione vissuta dalla gente. È evidente che non si possono firmare contratti con questi vincoli. È evidente che la questione riguarda anche le imprese. Bisogna intervenire in modo mirato perchè alcune imprese guadagnano dall'aumento dei prezzi mentre altre ci rimettono. Non si può metterle sullo stesso piano».
Abbiamo citato Sacconi, tra i ministri più attivi. Anche nel metter mano alle regole del mercato del lavoro.
«Interventi pesanti su un accordo raggiunto, interventi che mettono in discussione l’autonomia delle parti sociali, tagliando diritti e tutele».
Un altro ministro attivissimo è Brunetta. Contro gli statali.
«Prima che arrivasse Brunetta, abbiamo assistito ad una campagna mediatica che ha offerto una rappresentazione grottesca di una realtà di lavoro molto complicata e che sarebbe ingiusto e sbagliato leggere solamente sotto una certa cattiva luce...».
Cioè, gli statali non sono tutti fannulloni...
«S’è creata una polemica che ci riporta indietro nel tempo, mentre il traguardo poteva essere la parità pubblico-privato. È ovvio che sui ritardi e sulle storture si debba intervenire. Le possibilità non mancano. Bisogna però riformare e invece ci si limita ad annunciare provvedimenti punitivi. Siamo ai proclami. Attenti all’effetto boomerang...».
Oltre la propaganda, l’economia reale ci propone numeri con tanti zero in termini di posti di lavoro, cancellati o destinati alla stessa fine. Telecom, Alitalia, una miriade di piccole o medie imprese, settori interi, come quello tessile... Un disastro...
«Per Alitalia siamo al buio. Telecom annuncia esuberi, ma non si capisce quale sarà il futuro. La chimica di Marghera è in sofferenza, l’indotto Fiat paga il calo delle vendite d’auto. Alcune linee manifatturiere e alcune aree sono in crisi: dal distretto del divano agli elettrodomestici al tessile. Ma il governo non batte un colpo. L'Italia deve rimanere un grande paese industriale, il governo deve aiutare l'industria migliorando i servizi. Dobbiamo puntare sull'aumento del valore delle esportazioni più che sull'aumento della quantità di merce che vendiamo all'estero».
Siamo nel bel mezzo di un altro sciopero del trasporto pubblico. Quanto ci costerà?
«Ovviamente non si è deciso lo sciopero a cuor leggero. Si sa di quanti disagi ne conseguano per la gente. Non ne siamo contenti. Si raccoglie il frutto di scelte sbagliate, di riforme mancate, di contratti rinviati. Siamo ai segnali di un conflitto che si riaccende».
Che succederà adesso?
«Se non cambiano le scelte del governo, dovremo aprire una fase di mobilitazione... Il sindacato non può limitarsi a segnalare le cose che non vanno, cercando di indicare le scelte che ritiene giuste... Per ora ci interessa capire e aiutare i lavoratori a capire. L’appuntamento è in autunno...».
Per lo sciopero generale?
«Sono tante le iniziative di lotta che si possono decidere. Ci siamo scontrati con il governo Prodi, proprio per questioni di salari e di fisco. Non si capisce perchè non dovremmo scioperare contro questo governo. La nostra autonomia vale nei confronti di qualsiasi governo governo. Siamo fedeli solo a chi ci ha concesso la sua fiducia, ai lavoratori...».
Come va con la Cisl e con la Uil? Si legge di qualche “dissapore”...
«Ci sono opinioni divergenti. Non si è cambiato nulla di quanto, nell’unità, si è discusso e si è deciso a proposito di fisco, di confronto in Confindustria...».
Come va con la nuova Confindustria?
«Siamo in una fase di confronto tecnico. Non c’è dubbio che uno scenario più pesante, soprattutto in tema di inflazione, rischia di rendere tutto più difficile».
Come va con i lavoratori?
«Si capisce il grande disorientamento. Si capiscono la paura, l’incertezza».
Il titolo, ieri, di Libero di Vittorio Feltri, invitando Berlusconi a tirarsi su il morale con le geishe, ricordava con il consueto garbo: «Non arrivano a fine mese eppure gli italiani sono già in spiaggia». Non è del tutto falso. L’Italia sembra un paese spensierato sull’orlo del baratro.
«Siamo soprattutto di fronte alla prova della forbice che si allarga. Non tutti pagano allo stesso modo».