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Unità: Epifani: «No al voto, la crisi la pagherebbero i lavoratori»

l'intervista

27/01/2008
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l'Unità

di Rinaldo Gianola

Guglielmo Epifani è d'accordo con il presidente della Confindustria, Montezemolo: «Andare al voto anticipato con questa legge sarebbe un errore: ci sono troppe questioni sociali aperte che devono trovare una veloce risposta, e se poi non sarà possibile costruire un governo solido e duraturo allora si chieda la verifica democratica dei cittadini, ma con una diversa legge elettorale». Il segretario della Cgil, dopo aver firmato un documento unitario con Cisl e Uil sulla crisi è preoccupato per tutti i problemi irrisolti.
Epifani, perché non bisogna votare subito?
«L'interruzione traumatica dell’azione dell'esecutivo ci lascia una serie di problemi aperti che, per quanto riguarda il sindacato confederale, devono essere affrontati e risolti al più presto. Sono questioni che interessano la vita di milioni di lavoratori, pensionati, giovani. Penso alla sicurezza sul lavoro, all'accordo sul Welfare che ci lascia sei deleghe da riempire tra cui quella molto delicata sui lavori usuranti. Inoltre nei prossimi giorni era previsto l'avvio del confronto decisivo con Prodi sulla riduzione della pressione fiscale sui lavoratori dipendenti e i pensionati, per una politica organica su prezzi e tariffe, per la casa e infine la manutenzione del patto del 23 luglio per rafforzare la produttività del sistema paese. Ora tutte queste partite vengono posticipate a chissà quando e certamente sarà più difficile affrontarle».
Il sindacato che cosa chiede?
«Ci aspettiamo che questi temi vengano affrontati presto da un governo. Non tocca a noi dire quale debba essere e ci rendiamo conto che il compito del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è particolarmente delicato. Ma noi ci attendevamo realisticamente che il confronto sul fisco portasse a giugno significativi benefici nei salari e nelle pensioni. Queste cose non possono aspettare. Nessuno nega la necessità di una verifica democratica, di elezioni anticipate se ce n'è bisogno, ma bisogna che la classe politica, tutta la classe politica, comprenda le priorità del paese. Per noi le priorità non sono le elezioni, ma il reddito delle famiglie, la tutela dei ceti più poveri, il sostegno allo sviluppo dell'economia in una fase che potrebbe diventare molto difficile. Aggiungo che, a mio avviso, non si può andare alle elezioni con questa legge che lascia tutto il potere in mano ai partiti e nega ai cittadini la possibilità di scelta. Fino a pochi giorni fa i due schieramenti erano d'accordo sul riformare la legge elettorale, adesso alcuni hanno cambiato idea. Si può costituire un governo per risolvere i problemi che ho elencato, fare la riforma elettorale e poi andare al voto. Mi pare una mediazione ragionevole».
Ma Berlusconi è in campagna elettorale, anzi pensa di aver già vinto e se vince per voi sindacati tornano i guai…
«Bisogna sempre essere prudenti quando si preannunciano trionfi elettorali. Penso che per la sinistra la partita sia tutta da giocare, con politiche e uomini diversi dal passato. Certo con Berlusconi si produrrebbero probabilmente le divaricazioni che abbiamo già conosciuto tra governo e mondo del lavoro. Ma i sindacati confederali oggi stanno facendo un buon lavoro. Siamo uniti, consapevoli dei problemi del paese. E penso che questa solidità la manterremo anche in futuro. Non posso però fare a meno di rilevare che prima i litigi e poi il crollo del governo hanno prodotto rabbia e delusione tra quadri e delegati che puntavano sull'esecutivo di Prodi per avviare una nuova stagione di riforme».
Vuol dire che il bilancio di Prodi è negativo?
«No, voglio distinguere tra i provvedimenti concreti dell’azione di governo e la dialettica, chiamamola così, della maggioranza. Il governo ha operato bene sul Welfare e la sicurezza sul lavoro, sull'immigrazione, sulle liberalizzazioni, ha avviato una politica per la riduzione della precarietà, ha condotto una seria lotta all'evasione fiscale, la sua politica estera ha ridato visibilità e prestigio al nostro paese. Su questi punti riconosco che Prodi ha lavorato proficuamente. Ma se allarghiamo lo sguardo alla maggioranza… I buoni risultati sono svaniti davanti alla litigiosità della coalizione. Non c'è mai stato un provvedimento su cui tutti i ministri fossero d'accordo, c'era sempre chi si asteneva o votava contro, oppure uscito dal consiglio dei ministri voleva distinguersi con una dichiarazione».
Prodi è caduto per il tradimento dei centristi, forse la sinistra…
«Alt. È vero che la crisi è stata prodotta da Mastella e da Dini e le motivazioni sono inspiegabili. Ma non si può certo dire che le altre componenti della maggioranza abbiano lavorato in silenzio, a testa bassa, per il bene della coalizione. Non ci sono anime belle che possono vantarsi di chissà quale comportamento irreprensibile. E i protagonisti di questa crisi alimentano un sentimento di antipolitica, allontanano i cittadini che vedono il governo, le istituzioni come qualche cosa di sempre più estraneo, più lontano».
Gli errori del governo Prodi?
«Ne cito due, per la Cgil due errori clamorosi. Il primo è stata la moltiplicazione del numero dei ministri e dei sottosegretari: un pessimo segnale per l'avvio della nuova stagione del centrosinistra. Il secondo errore grave è stato l'indulto e mi fermo solo a una considerazione che riguarda il mondo del lavoro. Io chiesi espressamente che tutte le responsabilità penali relative agli incidenti e alla sicurezza sul lavoro fossero escluse dall'indulto. Mi fu risposto che la mia richiesta era senza senso. Così non ci siamo: è inutile poi che il governo e la maggioranza vengano a piangere gli operai morti sul lavoro, ci sono segnali che la politica deve dare prima».
Se le dico che il governo è caduto per colpa del partito democratico, che cosa mi risponde?
«Le rispondo che il centrosinistra era pieno di problemi, prima, quando aveva vinto a fatica le elezioni. E poi si è creato altri problemi. Ho sempre espresso le mie perplessità su tempi, modi e condizioni per la nascita del partito democratico. Alcuni fatti, lo dico senza soddisfazione, mi hanno dato ragione. Non era questo il tempo per creare un nuovo partito. Il partito democratico andava o realizzato quando il centrosinistra era all'opposizione oppure avendo alle spalle una lunga e molto efficace stagione di governo. Avendolo fatto nel mezzo con i problemi che maggioranza e governo avevano, ha finito per far mancare in una fase decisiva le vecchie identità senza avere il tempo per costruire compiutamente la nuova. Quello che vale per il partito democratico vale anche per quello che si sta costituendo alla sua sinistra. E oggi la crisi coglie due percorsi in una fase accidentata. In più c'è un problema di valori, di scelte, di decisioni. Il rinnovamento della sinistra italiana non può prescindere dalle sue radici che sono saldamente ancorate nel mondo del lavoro, io partirei da qui. Inoltre il partito democratico deve aiutare a rompere l'anomalia tutta italiana che vede sempre le stesse facce, le stesse figure alla guida della politica. In Europa non è così, in America ci sono delle belle facce nuove. Il ricambio è fisiologico nelle democrazie moderne».
Parliamo di industriali. Sta nascendo la corrente degli elargitori. Diego Della Valle, l'amico di Mastella e Abete, ha concesso 1.400 euro ai dipendenti ma non vuole incontrare i sindacati. Cosa ne pensa?
«Della Valle si è comportato come un signore feudale, pensa di essere un dominus che dall'alto concede qualche regalia ai suoi "collaboratori". Non è un'azione moderna. In questo caso l'obiettivo è chiaro: non vuole riconoscere il ruolo di rappresentanza dei sindacati. Ma noi sappiamo che nelle fabbriche di Della Valle la situazione non è semplice, le relazioni sindacali sono difficili, ci sono molti problemi. In Europa queste questioni si risolvono col confronto tra le parti, tra imprese e sindacati».


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