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Unità: Epifani: «Lasciamo fuori gli interessi di partito»

L’appello a considerare la sostanza del risultato raggiunto. Subito dopo contratti e precarietà

07/10/2007
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l'Unità

di Giampiero Rossi / Milano

SCELTE «Abbiamo compiuto uno sforzo enorme», ma il primo importante obiettivo è stato raggiunto: Cgil, Cisl e Uil sono riuscite a organizzare in tre settimane oltre 45.000 assemblee con lavoratori e pensionati di tutta Italia per illustrare i contenuti dell’accor-
do di luglio con il governo, sul quale l’informazione non è arrivata sempre puntuale e precisa. Da domani, fino a mercoledì, si vota. E venerdì dovrebbero essere noti i risultati della vasta consultazione che potrebbe aprire una nuova stagione sindacale. Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, è molto soddisfatto per come è andato questo lungo viaggio, anche se non nasconde alcune preoccupazioni, che in realtà riguardano più che altro la politica, la parte più turbolenta e meno affidabile dello scenario in cui devono maturare i prossimi passi utili alla vita di milioni di persone.
Epifani, dunque ci siamo: le assemblee le avete fatte, adesso tocca ai lavoratori pronunciarsi. Che sensazioni ha ricavato da questi incontri?
«È stata una grande campagna, una grande prova di democrazia, importante non soltanto per il sindacato ma per tutto il paese. È stato un sforzo enorme per il sindacato perché avevamo anche meno tempo, rispetto al 1995, per organizzare una così vasta consultazione. E anche per questo, certo, ci sono stati anche problemi, a partire dall'informazione sul protocollo che abbiamo constatato non è arrivata sempre adeguata o per tempo. Ma del resto con un accordo firmato il 23 luglio i tempi erano questi».
E come siete stati accolti nelle fabbriche, nei call center, nei cantieri e in tutti i luoghi in cui avete radunato lavoratori e pensionati?
«In realtà molto bene. Certo, fanno notizia i fischi di quattro aziende, magari importanti e simboliche, ma nell’insieme c’è stata una buona partecipazione, vivace, che da tempo aspettava di avere occasioni di confronto. Queste, poi, sono assemblee in cui si riflettono gli umori di tutte le componenti della società italiana: dalle tentazioni separatiste del nord ai gravi problemi in cui si dibattono gli ultimi, quelli che combattono con salari e precarietà, dai pensionati ai lavoratori del terziario, dai dipendenti pubblici ai giovani dei call center, cioè una generazione che per la prima volta ha partecipato a una discussione su temi generali e si è sentita coinvolti in qualcosa di importante. Insomma, siamo stati davvero tra la gente».
Tutti entusiasti?
«No, l’ho detto, ci sono motivi di disagio che sono emersi con evidenza in queste assemblee, dove inevitabilmente subentravano altre istanze. Direi che i tratti che mi è parso di cogliere con chiarezza sono legati alla questione salariale, alla precarietà del lavoro, alla grande preoccupazione per il futuro legata alle incertezze che offre la scena politica e, anche, all’ orgoglio di essere parte di questo processo decisionale e di appartenere a una logica sindacale confederale. Noi siamo andati tra loro senza filtri, sapendo che avremmo incontrato sindacati di base, sostenitori del no e non soltanto i nostri iscritti, ma era importante farlo».
Quanto ha pesato l’azione del fronte del no?
«Indubbiamente si è fatta sentire nelle aziende meccaniche. E poi c’è stata l’azione di aree politiche che probabilmente hanno agito pensando ad acquisire un maggiore potere contrattuale all’interno del governo o guardando agli interessi elettorali. Direi, però, che sui grandi numeri non è stato questo il tratto dominante, nonostante scontri anche duri, aspri e anche episodi non belli, come la manifestazione di Firenze o i sospetti brogli alla Provincia di Pisa, come ha scritto l’Unità».
Però alcuni di questi passaggi hanno posto problemi interni alla Cgil. Ci saranno conseguenze?
«Ci sono state alcuni comportamenti inaccettabili. Su questo discuteremo nei nostri organismi».
Non è parso anche a lei che i lavoratori abbiano scaricato sul sindacato parte della loro disillusione per la politica?
«Sì, ci siamo trovati in mezzo a tutta questa delusione, ma sebbene sapevamo che potesse verificarsi abbiamo voluto fare queste assemblee, proprio per affermare una volta di più la nostra autonomia. E credo che le persone abbiano capito questa scelta».
Ci sono state obiezioni. Potrebbero diventare oggetto di modifiche all’accordo con il governo?
«Prima di tutto bisogna aspettare l’esito del voto, poi incontrare il governo e con il governo valutare i testi legislativi. Credo che sia nell’ordine delle cose, In questo ambito, ma solo d’intesa comune, è possibile perfezionare i testi. Qualche miglioramento tecnico è possibile. D’altra parte il governo è la controparte di Cgil, Cisl e Uil, è con i firmatari dell’accordo che dovrà concordare eventuali modifiche. E poi è importante che dal voto esca - come credo avverrà - un forte consenso, perché questo farà da argine ai rischi di peggioramenti nel corso dei passaggi in parlamento. Su questo non sono affatto tranquillo, anche perché con i numeri attuali bastano uno o due senatori e un emendamento può passare o non passare. Ma se c’è un sì forte ci dovranno pensare più volte prima di cambiare in peggio quel testo».
E dopo che succederà?
«Subito dopo ci sarà molto da fare, il protocollo è solo un punto di partenza. Ci sono molti rinnovi contrattuali, la precarietà e c’è da riportare al centro dell'attenzione la condizione del lavoro dipendente. Il fisco non deve aiutare soltanto le imprese, ma anche i lavoratori dipendenti. E le imprese devono rinnovare rapidamente i contratti».


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