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Unità: Epifani: crisi pericolosa ma la politica la sottovaluta

intervista

29/02/2008
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l'Unità

di Felicia Masocco

No agli allarmismi, ma per Guglielmo Epifani «neanche si può far finta di non vedere i segnali di crisi che arrivano dagli Stati Uniti». Lo scenario è preoccupante, ma «i programmi delle forze politiche lo stanno sottovalutando».
Negli Stati Uniti tira aria di recessione. L’Italia corre rischi?
«Sì, ci sono, anche se si cerca di tenere bassa la preoccupazione. Io credo invece che bisogna guardare la realtà che non dà segni incoraggianti».
È la campagna elettorale che la tiene bassa?
«Non solo. Mi riferisco a parte degli analisti, anche se operatori più attenti si rendono conto che la vera e propria crisi economica degli Stati Uniti, con il rialzo del valore dell’euro e dei prezzi delle materie prime, è destinata a incidere più di quanto non si dica nella situazione italiana ed europea. I programmi delle forze politiche secondo me sottovalutano questo scenario».
Sono inadeguati ad affrontare la crisi?
«Non hanno ancora incorporato la possibile dimensione dei suoi effetti. Aggiungo, anzi lo ribadisco, che la crisi politica, la fine legislatura è sciagurata. Nata per cause meschine finisce per lasciare il Paese senza governo per tre, quattro mesi mentre si dovevano completare processi legislativi, fare politiche di redistribuzione, aprire tavoli su prezzi e tariffe. I segnali di forte rallentamento dell’economia, avrebbero richiesto un governo nel pieno delle sue funzioni».
Invece andiamo al voto.
«Bisognerà aspettare il nuovo governo in una fase che avrebbe imposto di agire subito».
Per esempio redistribuendo subito il tesoretto?
«Sì, il surplus che la trimestrale con tutta probabilità confermerà, rivolto adesso ai redditi più bassi avrebbe in parte alleviato il calo dei consumi, sostenuto un po’ la domanda. Dopo non avrà gli stessi effetti. E forse verrà messo in discussione da scelte fiscali di segno diverso».
Maggioranza e opposizione non si sono messe d’accordo per intervenire sui salari. Un’occasione persa?
«Esatto. E sbaglia il centrodestra a far cadere la possibilità, chiesta dal sindacato di utilizzare queste risorse subito, perché a maggio, quando si formerà il nuovo governo la prospettiva può essere più pesante di quella che il centrodestra immagina».
Sull’extragettito Veltroni e Berlusconi dovrebbero accordarsi?
«È quello che dovevano fare maggioranza e opposizione. Ma in Parlamento la convergenza del centrodestra sulle proposte della maggioranza non c’è stata».
Qualche proposta elettorale potrebbe trasformarsi in una promessa impossibile da mantenere?
«Mettiamola così: una manovra come quella contenuta nel programma di centrodestra di abolizione dell’Ici che oggi già interessa il 40% dei proprietari di casa, interviene sui redditi medio-alti, mentre la congiuntura e la domanda impongono di sostenere i redditi medio-bassi, da lavoro e da pensione. E se rallenta l’economia anche i margini per una manovra restitutiva saranno più ristretti: si dovrà scegliere “o questo o quello”, non “questo e quello” come mi pare il programma del centrodestra proponga».
La solita propaganda?
«Ho citato il centrodestra perché il suo programma su questo fa una scelta che poteva essere compatibile con margini di finanza più larghi, meno con quelli che paiono profilarsi. Ma in ogni caso è evidente che gli effetti di questa crisi devono essere ancora metabolizzati dal complesso delle forze politiche. E, ovviamente anche dal sindacato. Vedo una campagna elettorale molto simile a quella di due anni fa, ma lo scenario è cambiato. Senza esagerare con il pessimismo, ma un’analisi seria va fatta».
Ci sono i salari e ci sono i prezzi: si calcola una nuova stangata di mille euro per famiglia. Cosa si può
fare?
«Poco sulla parte che deriva dalla componente internazionale, dall’aumento del prezzo del petrolio. Anche se mi sembra sia più di tipo speculativo, un gioco sui derivati che si fanno sul valore del petrolio atteso, e che poi generano la spinta al rialzo. C’è poi la componente interna speculativa, legata alle reti di distribuzione, alle mancate liberalizzazioni, ai mancati controlli. E anche qui ci vorrebbe un governo. Il rischio è di avere meno reddito e prezzi più alti».
Alla luce di questo, come valuta le scelte della Bce che a differenza della Federal Reserve pensa più a tenere bassi i salari che a tagliare i tassi?
«La Bce in realtà oscilla tra due posizioni: una dice sosteniamo la crescita, l’altra stiamo attenti ai prezzi, quindi ai salari. Se penso all’esperienza italiana è una posizione del tutto incomprensibile perché il rialzo dei prezzi da noi non ha nulla a che fare con la dinamica dei salari...
...Anche perché qui non è come in Germania dove i metalmeccanici strappano aumenti del 5,6%.
«Da noi non c’è alcuna componente salariale nell’andamento dell’inflazione. Anzi. Chi paga l’inflazione sono i salariati e i pensionati. Mentre ogni aumento del tasso di interesse, per l’esposizione del nostro debito, toglie risorse agli investimenti, o ai consumi o alla redistribuzione del reddito. Complessivamente esce fuori una previsione di medio periodo che può essere preoccupante. Non va generato allarmismo, ma neanche si può far finta di non vedere i segni di peggioramento».
I partiti dovrebbero dire che si va verso un periodo di vacche magre? Per Montezemolo si dovrebbe parlale di emergenza. Va fatto?
«Montezemolo avverte il peso delle aziende che esportano, più esposte alla crisi. Io credo sia necessario, da parte di tutti, un bagno di realismo. Questa crisi peserà di più su alcune aree, penso al Sud, e per affrontarla ci vorrebbe un governo con una propria idea su come rilanciare lo sviluppo, e che si ponga come primo obiettivo la ripresa della crescita. Certo non si potrà chiedere al salario e alle pensioni di fare una parte di sacrifici: sono già stati fatti».
Come può rispondere il Paese?
«Una parte è scosso nella fiducia, sconta condizioni di vita pesanti, un’altra guarda con volontà all’uscita da questa situazione. Bisogna guardare con lo spirito di chi vuole superare i problemi. Tocca alle forze politiche, al nuovo governo indicare le strade. E le parti sociali dovranno fare le loro proposte: temo però che questa situazione possa rendere più difficile il dialogo tra sindacati e imprese. Perché le imprese continueranno a insistere ancora di più sulla produttività. E il sindacato, che pure non si sottrae a questo ragionamento, non può non avere attenzione alla crescita generale dei salari. Ci saranno margini più stretti se il governo non usa la leva fiscale per sostenere la domanda di consumi e di investimenti. In questo nuovo contesto è sbagliata la scelta di alleggerire il fisco sui patrimoni. Tutte le risorse disponibili devono sostenere quelli che un tempo si sarebbero chiamati i “produttori”, che assicurano lo sviluppo del Paese. E poi, per sostenere la domanda va fatto ordine nei sistemi a rete: i trasporti, la logistica, il sistema formativo, quello sanitario, le costruzioni, le infrastrutture che in una fase di rallentamento possono essere anticiclici. Questo presuppone un progetto per una fase che rischia di essere molto diversa da quella che ci si aspettava».


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