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Unità: E per la destra basta studiare fino a 13 anni

Abbassato l’obbligo. In Inghilterra, al contrario, lo hanno portato fino a 17

10/09/2008
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l'Unità

Marina Boscaino

Che cosa può spingere un paese a reagire al fallimento della propria scuola innalzando l'obbligo scolastico e un altro a comportarsi in modo esattamente opposto? Nel mese di luglio la Camera ha approvato un emendamento alla finanziaria che ha posto definitivamente la parola fine sull'illusione di un effettivo innalzamento dell'obbligo scolastico - un provvedimento che agevolerebbe immediatamente le fasce deboli della popolazione. In Italia, in pratica, basta studiare fino a tredici anni. Viceversa si sarebbe risposto ai drammatici tassi di dispersione vera e propria o occulta che si registrano in Italia, all'impoverimento culturale della popolazione, alla precocità del lavoro minorile. Pensando, seriamente, alla scuola.
Il progetto dell'innalzamento fino al secondo anno delle superiori dell'obbligo scolastico (che dovrebbe voler dire permanenza della scuola da parte degli studenti), targato (ma non realizzato) centro sinistra, è stato definitivamente annullato dalla possibilità di frequentare, in modo giudicato strumentalmente equivalente, i percorsi professionali. Una possibilità concessa, è evidente, a tutti coloro che per estrazione socio-culturale, per una scelta preventiva determinata proprio da quell'estrazione, sono antropologicamente fuori dal circuito dei licei: andranno a lavorare assolvendo all'obbligo non già scolastico, ma di istruzione; in un'ambigua sciarada giocata alle spalle dei più deboli. Ecco come ha risposto il governo a un'emergenza ancora in corso, confermata dai dati Ocse e dai dati dell'Unione Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo che hanno licenziato la fotografia di un paese tuttora povero dal punto di vista culturale, in cui, ad esempio, 1 italiano su 3 è coinvolto da fenomeni che riguardano difficoltà di letto-scrittura. In cui, soprattutto, si coglie la responsabilità di un pluridecennale disimpegno politico e amministrativo in campo scolastico.
Cambio di scena. Nel mese di agosto sono stati pubblicati i dati dei Sats (gli esami cui vengono periodicamente sottoposti gli alunni inglesi di 7, 11 e 14 anni) che hanno evidenziato una situazione estremamente problematica anche in Inghilterra, soprattutto per ciò che riguarda le competenze degli alunni delle scuole primarie. Tra parentesi: considerando che da noi è proprio questo l'ordine di scuola che funziona meglio, la Gelmini lo sta distruggendo. La risposta di Gordon Brown è stato l'aumento di un anno dell'obbligo scolastico (che dal 1972 era a 16 anni), che andrà comunque assolto a scuola: solo dopo il compimento dei 17 anni sarà possibile assolverlo nella formazione professionale. Questo si chiama parlar chiaro: il governo laburista prevede entro il 2015 l'innalzamento a 18 anni per contrastare la dispersione scolastica, che oggi coinvolge il 25% dei ragazzi inglesi con più di 16 anni. La risposta alla domanda da cui siamo partiti è insomma scontata: un Paese che abbia ambizioni di reale civiltà e di respiro culturale, che si candidi ad avere un ruolo significativo nell'accompagnare i propri cittadini a mettere al servizio della collettività educazione, cultura, autonomia di giudizio, emancipazione; nonché a rappresentare un interlocutore autorevole nei complessi scenari internazionali che si stanno configurando, deve credere nella centralità della scuola. Le cifre ci offrono uno spunto di riflessione soprattutto in merito a quanto istruzione, educazione, cultura debbano essere una preoccupazione nazionale, di chiunque pretenda di esercitare legittimamente i propri diritti di cittadinanza, indipendentemente da età, sesso, appartenenza politica, coinvolgimento diretto. Un sistema Paese ha bisogno di un sistema scuola per crescere e progredire.


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