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Unità: Due ministri, due strade

pensioni

10/05/2007
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l'Unità

Bruno Ugolini

È partita l’ardua trattativa sulle pensioni. Sugli spalti si affollano pubblici diversi. È possibile vedere da una parte, accanto ad un pubblico silenzioso e preoccupato, gruppi di tifosi accaniti (politici di schieramenti diversi, esimi studiosi, giornalisti celebri) intenti ad affermare che come sempre il crack previdenziale è alle porte e che per salvare i giovani bisogna tartassare non solo gli anziani (e le anziane) spreconi, ma anche i maturi cinquantenni.

Da un’altra parte contrapposti tifosi esibiscono cifre diverse, denunciano problemi sociali insopprimibili, avanzano proposte non punitive, anche se magari costose.

In campo il governo, i sindacati, gli imprenditori. Non dovrebbe essere uno scontro cruento visto che è nato all’insegna della concertazione, ovverosia di una discussione atta a raggiungere soluzioni condivise.

La partita è però iniziata con un’uscita preventiva del ministro all’Economia Tommaso Padoa Schioppa, che pochi istanti prima dell’inizio del match, ha fatto sapere che i giocatori dell’altra parte non s’intendono tra loro e che comunque dovrebbero avere più coraggio. Lo ha fatto con un’intervista Repubblica, il giorno stesso dell’incontro con le confederazioni sindacali. Quindi i tempi, i modi, la scelta di lanciare l’offensiva, tutto insomma è stato ben calibrato dal ministro dell’Economia che, forse, sarà a digiuno di dialettica politica, ma si muove con decisione e coerenza quando vuole raggiungere i suoi obiettivi..

Una sortita, tuttavia, che ha innervosito la componente sindacale e una buona parte della stessa coalizione governativa. Siamo in realtà solo agli antipasti. Le portate più interessanti sono ancora in cucina. L’incontro di ieri è servito soprattutto ad esaminare un menù, un elenco dei temi da affrontare nei prossimi incontri.

Con l’affiorare però, par di capire, di linee diverse. Non tra i sindacati, a dire il vero. Cgil Cisl e Uil su questo terreno mostrano, a differenza d’altre occasioni, un’unità senza sbavature, raggiunta dopo un lungo e faticoso lavoro. Semmai una differenziazione di toni è possibile notare tra le parole del ministro dell’Economia e quelle del ministro del Lavoro Cesare Damiano. Il primo ad esempio sostiene abbastanza minacciosamente che se si modificano la legge Maroni sullo scalone e non si rispetta la riforma Dini con la prevista revisione dei cosiddetti coefficienti si rompe l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico. E’ l’allarme caro a quei primi tifosi già citati.

Il ministro Damiano, invece, è apparso più cauto, nel parlare di manutenzione e non di riforma delle pensioni, di scalini e non di scalone, di cercare risposte efficaci, senza, certo, mettere a rischio gli equilibri finanziari. Ed ha accettato, a proposito della verifica dei coefficienti, una sollecitazione dei sindacati. Ha deciso così un approfondimento dei conti concernenti quest’ultima operazione. Non è un passaggio di poco conto. I parametri sui quali si era costruito quest’appuntamento della riforma Dini, sono, infatti, saltati, come afferma Morena Piccinini, una delle protagoniste dell’incontro di ieri. Per via dei mutamenti nel mercato del lavoro. Sono aumentati gli occupati, sono aumentati gli ingressi dei lavoratori stranieri, sono diminuite, sempre rispetto alle previsioni, le persone che andavano in pensione. Sono stati così risparmiati, in dieci anni, undici miliardi d’Euro in più rispetto a quanto preventivato dalla riforma Dini.

Se tutto questo sarà dimostrato sarà un colpo alle tante previsioni catastrofiche. C’è da aggiungere che lo stesso ministro del Lavoro ha fatto accenno anche ad un’altra questione che potrebbe spostare i termini "finanziari" della trattativa. Essa riguarda la cosiddetta "armonizzazione" tra le regole che soprintendono ai diversi fondi pensionistici. Oggi, infatti, la potente Inps, formata con i soldi dei lavoratori dipendenti, aiuta, se così si può dire, fondi a volte con preoccupanti passivi. Quelli dei dirigenti delle aziende industriali, degli artigiani, dei commercianti, dei coltivatori diretti. E in questo passaggio del confronto ha fatto anche capolino la vicenda delle pensioni dei parlamentari, chiamati a dare almeno un segnale. Sarebbe, in questo caso, un bel modo per dare quell’auspicato "coraggio" a tutti. Ad un governo che non è nato per mostrare i muscoli nei confronti del mondo del lavoro, e ai sindacati che del resto, nel passato, hanno sempre affrontato con maturità prove decisive. Il senso di responsabilità è però messo a dura prova quando prima si annuncia un contratto, come per il pubblico impiego ora costretto nuovamente allo sciopero (mentre i pensionati annunciano nuove manifestazioni).

Le verità è che quelle due tifoserie sugli spalti trovano una loro eco anche nella compagine governativa. Con l’esistenza di culture diverse. Come quella di chi considera la spesa pensionistica quale spesa pubblica, a carico di tutti anonimi cittadini. Non la considerano come un forziere formato da sudati risparmi (salario differito si diceva un tempo) accantonati da lavoratori dipendenti.

Un forziere che magari da una mano - pensate un po’ - alle pensioni dei dirigenti d’industria.


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