unità: Due concetti di merito
Nel linguaggio della sinistra italiana si fanno sempre più spazio i termini «merito» e «meritocrazia».
Valentino Larcise
Nel linguaggio della sinistra italiana si fanno sempre più spazio i termini «merito» e «meritocrazia». L’ultimo esempio è la mozione congressuale di Fassino, ove il termine «merito» appare numerose volte e dove si parla esplicitamente di «un’Italia fondata sul merito». Sono tuttavia in molti a guardare la meritocrazia ancora con sospetto, associandola ad una idea di società fondata sulla competizione e sulla disuguaglianza. Come cercherò di argomentare, tali sospetti sono sbagliati in un senso e fondati in un altro. Ma decisamente si sbaglia chi sottovaluta la portata rivoluzionaria della emergente domanda di meritocrazia e, nel presente contesto storico, l’opportunità che essa offre per una rinnovata egemonia della sinistra.
Un primo modo di intendere la meritocrazia è che le responsabilità (ed i compensi che ne derivano) dovrebbero andare a chi, in ciascuno momento, è maggiormente capace di esercitarli. In tal senso, nel nostro Paese, la meritocrazia sarebbe già una rivoluzione: significherebbe scardinare il familismo, il partitismo, il furbettismo, la mediocrità e la stagnazione economica e creativa che ne derivano. Significherebbe aprire opportunità a quanti hanno voglia di impegnarsi. Significherebbe combattere i privilegi e le ampie sacche di feudalesimo che ancora si annidano nell’organizzazione della nostra economia. Questi sarebbero passi in direzione sia di una maggiore efficienza produttiva ed allocativa che di una maggiore giustizia sociale.
È importante riconoscere che, nella valorizzazione del merito, un ruolo di primo piano viene esercitato da mercati che funzionano e che impongono disciplina sui meccanismi di selezione. Non a caso Paesi che sanno valorizzare il merito, come gli USA e la Gran Bretagna, hanno mercati che funzionano meglio che da noi. Occorre purtroppo riconoscere che ciò che oggi opprime molti italiani non è il mercato ma piuttosto la sua assenza.
È però anche ovvio che questa idea di meritocrazia non può rappresentare l’orizzonte della sinistra. Per vari motivi, ma uno in particolare: i meritevoli, in ciascun momento, provengono prevalentemente da ceti privilegiati; perché hanno avuto più opportunità per formarsi, un ambiente familiare più favorevole, maggiori possibilità di fare esperienze. È dunque necessario pensare al merito non in senso statico ma dinamico: non solo, come è giusto, offrire opportunità a chi, in ciascun dato istante, è maggiormente in condizione di fare bene, ma fare sì che il merito, per quanto possibile, si determini indipendentemente dalle origini di ciascuno. In altri termini: una vera eguaglianza delle opportunità sin dalla nascita. È qui che gli Stati ed i governi dovranno ancora giocare una partita fondamentale, ovunque.
Torniamo agli USA, «land of opportunities», un modello per numerosi sostenitori nostrani della meritocrazia: quanti ragazzi neri si incontrano nei corridoi di Harvard? Quanti figli di immigrati latini o della working class di qualunque razza? E che dire di un Paese meritocratico ma anche ossessionato dalle classi sociali quale la Gran Bretagna? Oxford e Cambridge da sempre ne formano la classe dirigente: il 25% dei parlamentari britannici e 38 primi ministri si sono formati in queste università. E tuttavia, per motivi di cui spesso le stesse università non sono responsabili, è estremamente difficile per l’ordinario Mr Smith riuscire a mandarvi i propri figli, anche i più bravi.
In Italia buona parte di chi si laurea proviene da famiglie in cui almeno uno dei genitori è laureato, oppure il livello di ricchezza familiare è decisamente sopra la media nazionale. In un mondo in cui il capitale che conta è sempre di più quello umano, fondato sulla conoscenza, questi sono dati che non possono essere ignorati.
Dunque, se la questione meritocratica è particolarmente grave in Italia, l’assenza di pari opportunità in tutti gli angoli del pianeta rappresenta una sfida cruciale per partiti e movimenti che pongano la giustizia sociale a fondamento della propria azione.
La domanda di meritocrazia e di opportunità diffuse è forte: si tratta di una necessità per contrastare il declino dell’Italia e di una grande opportunità per la sinistra se ci si lascia definitivamente alle spalle la paura del mercato e gli errori del secolo scorso. Non ci sono modelli da seguire o imitare: si presti attenzione a cosa i deboli di oggi domandano e a cosa intendono per giustizia sociale, e si cerchi di dargli rappresentanza.