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Unità: Docenti a tempo pieno (anche negli Atenei)

La realtà universitaria presenta forti analogie con quella ospedaliera, sulla quale intende intervenire Livia Turco

26/08/2006
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l'Unità

Alcuni importanti iniziative governative, in particolare quelle promosse dai ministri Bersani e Turco, tendono al contempo a colpire privilegi, il che ha un significato positivo in termini di etica pubblica, e a rendere disponibili risorse, come è necessario nelle attuali condizioni finanziarie. La realtà universitaria presenta forti analogie con quella ospedaliera, sulla quale intende intervenire Livia Turco. I professori hanno un rapporto «a tempo pieno» ovvero «a tempo definito»; questi ultimi sono autorizzati a svolgere attività professionali private, mentre chi opta per il tempo pieno deve operare solo tramite il Dipartimento di appartenenza. I Dipartimenti, infatti, possono stipulare convenzioni con Enti pubblici e privati e svolgere consulenze e attività «in conto terzi»; i relativi utili competono in parte a coloro che hanno svolto la prestazione e in parte all'Università.

Il sistema appare ragionevole (anche se, in prospettiva, si deve auspicare l'obbligatorietà del tempo pieno per chi è di ruolo, con l'adozione di contratti temporanei per i professionisti esterni). Esso funziona però in termini del tutto insoddisfacenti per due motivi: A) solo poche delle consulenze effettivamente svolte dai docenti si svolgono nella forma di attività universitaria in conto terzi; B) anche queste poche apportano un beneficio economico al Dipartimento interessato, ma non all'Ateneo globalmente inteso.

Circa il punto A), è accaduto infatti che da quando, nel 1980, la normativa è stata introdotta si sono progressivamente allargate a dismisura le autorizzazioni ad attività private per docenti a tempo pieno; sicché ormai è a tempo definito solo l'8% circa dei docenti (chi ha uno studio privato per professioni che richiedono l'iscrizione in un Albo). Va pertanto prescritto (in realtà, ribadito) che per il docente a tempo pieno le attività private sono escluse - senza se e senza ma! - e ogni introito, a qualsiasi titolo, derivante da proprie attività deve essere acquisito dai docenti a tempo pieno solo in termini di partecipazione ai proventi di una attività ad essi commissionata tramite il loro Dipartimento. Possono essere esclusi i diritti d'autore (ma non somme forfettarie fornite a titolo di compenso per la rinuncia a tali diritti: uno degli espedienti più frequenti per acquisire lucrose consulenze consiste nella presentazione di esse come cessione dei diritti di pubblicazione dei relativi elaborati!).

Circa il punto B), la regolamentazione un tempo era nazionale e disponeva che i proventi devoluti all'Ateneo venissero attribuiti al Dipartimento dove si svolge l'attività, e neppure in parte al bilancio centrale; un po' per inerzia, molto per la forza degli interessi settoriali in gioco a fronte della debolezza della governance di Ateneo, la normativa delle singole università ha confermato tale situazione (salve poche eccezioni, e in questi casi con una quota centrale molto modesta). È stato cioè ignorato il fatto che l'istituzione nel suo complesso, con i suoi investimenti e con le sue spese generali, è determinante per consentire ai Dipartimenti di esistere, e in particolare li dota di personale docente. Nelle attuali condizioni finanziarie delle università si hanno spesso Dipartimenti doviziosi in un Ateneo ai limiti della sopravvivenza. Occorre pertanto una norma-quadro nazionale che, pur lasciando ampi margini alla normativa autonoma degli Atenei, garantisca una adeguata quota al bilancio universitario centrale: esso potrà così riequilibrare le disponibilità a favore delle strutture scientifiche che per la loro stessa natura hanno minori possibilità di acquisire finanziamenti.

Quanto si è detto finora concerne la regolamentazione interna al sistema universitario; occorre però anche una coraggiosa scelta politica dell'intero governo, pienamente in linea con quanto esso cerca di fare per ottenere la migliore produttività della spesa. Una apposita norma dovrebbe disporre che tutte le amministrazioni pubbliche, ogni volta che intendono servirsi della consulenza di un professore universitario (sia a tempo pieno sia a tempo definito), sono tenute a commissionarla tramite la struttura di appartenenza e non a titolo privato. I vantaggi per la finanza pubblica globalmente intesa, ed anche l'effetto di moralizzazione, sarebbero enormemente maggiori di quelli ottenibili con i pur apprezzabili provvedimenti di riduzione di qualche Commissione e di qualche auto blu.


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