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Unità-DIARIO DI UN POVERO RICERCATORE

Diario di un povero Ricercatore Antonio Scurati Io e la Moratti "Università, assedio alla Camera". Così hanno titolato ieri molti giornali in riferimento alla manifestazione d...

27/10/2005
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l'Unità

Diario di un povero Ricercatore

Antonio Scurati

Io e la Moratti

"Università, assedio alla Camera". Così hanno titolato ieri molti giornali in riferimento alla manifestazione di protesta contro la riforma Moratti tenutasi l'altro ieri davanti a Montecitorio. E questa impressione avrebbe potuto ricevere dalle immagini televisive uno spettatore distratto. Ma sarebbe un'impressione errata. La folla di studenti e ricercatori universitari che protestava davanti alla Camera dei deputati non è una folla di assedianti. È un'umanità assediata. Il popolo dei lavoratori dell'università - lavoratori dell'intelletto ma pur sempre lavoratori - è un popolo immiserito, vilipeso, un'umanità umiliata e offesa, presa per fame.
Oggi a essere posta d'assedio è la cittadella del sapere, non il Parlamento. Oggi sono la scuola e l'università a farsi simbolo di quella psicologia ossidionale che sembra, da qualche tempo, essere diventata cifra dell'umanità tutta.
Negli anni 70 andava di moda lo slogan "la società contro lo Stato". Oggi sembrerebbe più attuale "la società contro la scuola e l'università". La scuola e l'università sono chiamate, infatti, a combattere una battaglia su posizioni perdute in difesa dei valori e dei princìpi della civiltà umanistica - la mitezza, la conoscenza approfondita, la riflessione, l'interiorità - mentre, un metro fuori dal perimetro scolastico, la società marcia in tutt'altra direzione. Ma sembra appropriato anche lo Stato contro la scuola e l'università. Lo Stato, infatti, per tramite del potere di legiferare del suo governo legittimamente eletto, vara una riforma della scuola e dell'università che incontra l'avversione di quasi tutto quel mondo.
Si tratta evidentemente di un'aggressione e l'aggressore è lo Stato. Quella costituita dal blocco scuola-università diventa una nuova, paradossale sfera pubblica, interstiziale tra Stato e società, e messa di traverso ad entrambe. Chi abita questa terra di mezzo dell'emarginazione interna è trattato alla stregua di nuova plebaglia. Un ceto intellettuale pericolosamente vicino alla condizione che un tempo fu del sottoproletariato.
Il paradosso è che tutti noi viviamo simultaneamente in tutte e tre le sfere. E ne siamo lacerati. Vorrei portare in proposito una testimonianza personale. Io sono diventato ricercatore di ruolo a 36 anni, pochi giorni dopo aver ricevuto il premio Campiello per il mio secondo romanzo. Avevo potuto pubblicare il primo, alcuni anni prima, grazie a un incontro casuale fatto in una grande catena di videonoleggio dove lavoravo da commesso part time. Integravo così la borsa di studio per il dottorato di ricerca che non mi consentiva di vivere (1.080.000 lire al mese). Il romanzo che mi ha dato qualche successo racconta del mondo della scuola, dell'umanità immiserita di professori e studenti, soprattutto dei primi: economicamente impoveriti, professionalmente dequalificati, socialmente screditati. Ne faccio un caso personale non per narcisismo ma perché vorrei toccare un punto. Tutto quel poco che so, che so fare, l'ho appreso a scuola e all'università. Eppure, se tengo la medesima lezione all'interno dell'università vengo pagato dieci o anche venti volte in meno che se la tengo al di fuori di essa. Se scrivo un libro destinato all'insegnamento la sproporzione è ancora maggiore. Se molti dei genitori dei miei studenti bergamaschi sapessero quanto guadagno all'università, non mi manderebbero i loro figli perché mi considererebbero non credibile professionalmente.
Mi si dirà: semplice, è il mercato! La riforma Moratti punta proprio a inglobare la scuola e l'università sotto le benefiche leggi di mercato. No. In Italia un mercato delle professioni intellettuali non esiste e non è certo la riforma Moratti a crearlo. Una riforma a costo zero che sottrae risorse a ciò che vuole trasformare invece di conferirgliene non vuole migliorare ma distruggere. Questa riforma si ispira infatti alla logica del mercato in due soli punti, entrambi deteriori. Sottopone l'universo dell'istruzione superiore e dell'università alla brutalità di un principio contabile: vuol fare cassa, risparmiando ulteriormente sull'incidenza che gli stipendi del personale docente hanno per la spesa pubblica, quindi affamando ulteriormente i professori già bitocchi. Inoltre attua una eliminazione competitiva. Una mossa con cui sul mercato si elimina un concorrente scomodo. Soltanto che, in questo caso, è il mercato stesso che mira a eliminare le istituzioni della cultura e del sapere, un antagonista irriducibile alla sua logica e non acquistabile.
Il dito medio alzato in faccia a studenti e ricercatori da un onorevole della Repubblica italiana è il giusto emblema della battaglia che si sta combattendo. È il gesto di strafottenza e disprezzo con cui una parte della classe politica sta mandando a "farsi fottere" l'università, la scuola, la cultura del nostro paese. È uno scaracchio in faccia al futuro di quei giovani. Qualcuno potrà pensare che meriterebbe una risposta uguale e simmetrica. Ma non noi. Noi siamo gente di cultura. Poveri, sempre più poveri, ma raffinati ed eleganti. Stare con i ricercatori universitari ci ha viziato.


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