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Unità: Decisione fondata sul principio dell'uguaglianza

Un bene troppo prezioso perché ne possa disporre una normale maggioranza parlamentare. Ora va garantito il rispetto delle autorità imparziali. Isoliamo gli irragionevoli

08/10/2009
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l'Unità

Massimo Brutti

Quali sono le differenze tra le due leggi che nel 2003 e nel 2008 sono state approvate dal Parlamento con la finalità di sospendere o di non far iniziare i processi penali nei confronti di alte cariche dello Stato? E perché anche la seconda legge è caduta? Proviamo a spiegarlo, Il così detto «lodo Schifani» prevedeva che non potessero essere sottoposti a processo il Presidente del Consiglio ed altri esponenti di vertice delle istituzioni. La Corte dichiarò incostituzionale la legge, anzitutto perché menomava il diritto alla difesa, che l’articolo 24 della Costituzione qualifica come«inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». Anche volendo, gli imputati eccellenti non avrebbero potuto rinunciare alla sospensione e sottoporsi al processo, come qualsiasi altro cittadino. Inoltre la legge sacrificava il diritto della parte civile, cioè di chi è danneggiato dal reato e perciò nel processo penale esercita l’azione per le restituzioni e il risarcimento del danno che ha subito. Infine, la possibilità di avvalersi del «lodo» per un tempo indefinito era in contrasto col principio della ragionevole durata del processo. Il secondo testo corregge il primo. La sospensione non è ripetibile all’infinito e non va oltre il tempo di una legislatura. Ad essa l’interessato può rinunciare. Inoltre, l’azione della parte civile, sganciata dal processo penale, va avanti da sola. Ma vi è un aspetto decisivo, non trattato nella prima sentenza, poiché i motivi che ho appena indicato erano già sufficienti all’annullamento, e che ora viene in primo piano. Queste norme introducono una prerogativa a favore di quattro titolari di funzioni politiche. Una deroga rilevante e clamorosa al principio costituzionale dell’uguaglianza: «Tutti i cittadini ... sono eguali davanti alla legge". L’unica via per una simile deroga sarebbe una norma di rango costituzionale, da approvare con un procedimento "rafforzato": conferma del voto di entrambe le Camere a distanza di tre mesi, maggioranza qualificata (di due terzi o assoluta, main questo caso c’è il referendum popolare). Insomma, l’uguaglianza giuridica è un bene troppo prezioso perché di esso possa disporre una maggioranza semplice in parlamento. Del resto, la Costituzione già prevede un sistema tassativo di "immunità" per chi svolge funzioni politiche e non lo si può ampliare con una legge ordinaria. Se è questa la valutazione della Corte, a me sembra che essa sia rigorosa e fondata. Contribuisce all’effettività di un principio essenziale del nostro ordinamento. Si sentono già - mentre scrivo - reazioni irose ed un crescendo parossistico di attacchi alla sentenza provenienti dal capo dell’esecutivo. Credo sia necessario il massimo impegno per tenere la Corte costituzionale fuori dal conflitto politico che attraversa il paese. È questo l’appello del presidente della Repubblica. È una preoccupazione diffusa nella cultura giuridica italiana e dev’essere un obiettivo quanto più possibile condiviso dalle forze politiche. Il «ritorno ai princìpi », di cui abbiamo un bisogno vitale, comincia da qui: dal rispetto per le autorità imparziali, dal rispetto per la giurisdizione e dunque per le garanzie fondamentali a tutela dell’uguaglianza. Isoliamo gli irragionevoli.


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