Unità: Creano un farmaco che blocca i tumori ma rischiano il posto
Sono i 650 ricercatori del Nerviano Medical Sciences, dipendenti del Vaticano: sul centro d’eccellenza in Europa pesa un debito con Unicredit di 120 milioni di euro
GIUSEPPE VESPOC’è un farmaco tutto italiano che può bloccare lo sviluppo dei tumori. A febbraio ha ottenuto il via libera dal Food and drug amministration americano per la sperimentazione sull’uomo. Oggi rischia di restare orfano degli scienziati che l’hanno creato. Sono i ricercatori del Nerviano Medical Sciences, centro d’eccellenza per la ricerca farmacologica nel campo dei tumori. Il più grande d’Europa. Seicentocinquanta ricercatori, oltre settecento lavoratori in totale. Lavorano a Nerviano, alle porte di Milano, dal 2004 per conto della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, alle dipendenze del Vaticano. Prima facevano parte della multinazionale americana Pfizer, ma le basi dell’istituto risalgono agli anni Settanta con Farmitalia Carlo Erba.
IL PESO DEL DEBITO
Sulla struttura pesa un debito con Unicredit di circa 120milioni di euro. La banca da gennaio ha anche un proprio uomo nel rimaneggiato consiglio d’amministrazione. In cassa ci sono i cinque milioni di euro messi sul piatto dalla Congregazione a fronte di un aumento di capitale deliberato dall’assemblea straordinaria il nove maggio 2008 di 70milioni di euro mai realizzato. Il rischio è che non si arrivi a fine mese, e per questo si è messo in prima linea il governatore della Lombardia. Roberto Formigoni è intervenuto il 6 aprile scorso al Tavolo di Lavoro avviato in Regione, che si aggiornerà mercoledì. Obiettivo: «Affrontare urgentemente le problematiche finanziarie del centro, ipotizzare un piano industriale che possa prevedere l’ingresso di altri soggetti imprenditoriali».
La Congregazione non ha i soldi necessari a ricapitalizzare. Problema che con il Vaticano impegnato ad aiutare chi perde il lavoro crea qualche imbarazzo. Così come le parole del cardinale milanese Dionigi Tettamanzi, che pochi giorni fa ha preso parte alla vicenda sostenendo che «non intervenire sarebbe un’omissione grave sul piano morale».
Parole forti che non compensano il buco in bilancio. Mancano i soldi. In quattro anni, fino al 2008, sono stati spesi 250milioni di euro, lasciati in dote da Pfizer, più 60milioni concessi da Unicredit con un mutuo ipotecario e altrettanti anticipati dalla stessa banca sulle previste sovvenzioni del Miur, il ministero della Ricerca.
SCIENZA E BUSINESS
Nerviano Medical Sciences è divisa in quattro società: Oncology si occupa di ricerca, costa 65milioni di euro l’anno ma potrebbe portarne in cassa molti di più. Oggi conta trenta progetti, tre nuovi farmaci pronti ad entrare in clinica nel 2009, altri due già in fase clinica e 4 accordi di collaborazione del valore di 300milioni di euro. Scienza e business. Per fare un esempio, se il farmaco che inibisce lo sviluppo delle cellule tumorali dovesse superare le tre fasi di sperimentazioni (si parla di un paio d’anni, attualmente è alla prima fase) potrebbe portare in cassa dai trenta ai cento milioni di euro per la cessione ad una multinazionale, più le royalty sulla vendita del prodotto finito. Le altre società si chiamano Accelera e Pharma science, entrambe lavorano per conto terzi e hanno i bilanci in pareggio. Poi c’è la Simis che si occupa del patrimonio immobiliare (circa 130milioni di euro) e della manutenzione.
Da gennaio la banca d’affari Rothschild è stata incaricata di cercare un partner finanziario o industriale. Ma prima di maggio l’istituto non può neanche essere venduto - nonostante ci siano dei soggetti interessati all’acquisto - perché pesano gli accordi presi con la Pfizer al momento della cessione del centro alla Congregazione. Pfizer mantiene su tutte le ricerche avviate prima della cessione un diritto di prelazione: per questo i buoni risultati che possono arrivare dall’antitumorale Danusertib o da Aurora devono essere prima di tutto presentati alla multinazionale Usa. Intanto i lavoratori di Accelera e Pharma science sono costretti a rifiutare gli ordini che arrivano dalle multinazionali perché non ci sono i soldi per pagare i fornitori.