Unità: Costituzione, è ora di tornare a scuola
Nicola Tranfaglia
Gentile ministro,
la cronaca quotidiana consegna ogni giorno ai lettori e all’opinione pubblica nazionale episodi continui di comportamenti scorretti e antidemocratici di italiani che mostrano di non conoscere la nostra Costituzione e le leggi fondamentali dello Stato manifestando sentimenti razzisti, volontà di aggressioni dentro e fuori la famiglia, comportamenti contrari alle regole approvate dei costituenti e scritte sessant’anni fa nel testo del 1948.
Di fronte a una simile situazione che esprime nel nostro Paese una sorta di crisi morale e di smarrimento dei valori fondamentali che dovrebbero informare le nostre azioni spetta allo Stato intervenire con una massiccia campagna di informazione e di educazione popolare.
Mi chiedo allora e lo chiedo a lei in quanto titolare come ministro della Pubblica Istruzione se il governo, nell’anno che segna il sessantesimo anniversario della Carta costituzionale, se non sia il caso di metter da parte ogni esitazione e fare qualcosa che i governi della Repubblica non hanno mai fatto fino ad ora: decidere di organizzare nelle scuole elementari che segnano il primo incontro dei bambini con la scuola un’educazione civica obbligatoria che dia a tutti, con appositi corsi principali, gli elementi essenziali di conoscenza della costituzione e delle leggi.
È quello che fanno da molto tempo i governi europei nell’Europa anglosassone e del Nord.
In un Paese come l’Italia nel quale governano in quattro regioni le associazioni mafiose indigene e straniere travolgendo le leggi dello Stato e indicando alle nuove generazioni, non lo stato di diritto ma una comunità retta da metodi mafiosi, violenti, parassitari, non è necessario e urgente incominciare subito a instillare nei nostri bambini il senso della democrazia e del governo delle leggi?
Molti ricorderanno che, già alcuni decenni fa, venne introdotta in Italia una materia che si chiamava Educazione Civica ma lo si fece male, nella scuola secondaria e in aggiunta a tutti i programmi esistenti, con il risultato che l’efficacia fu assai scarsa. Ed ora in alcune scuole ci sono progetti degli insegnanti sulla legalità o sulla lotta alla mafia.
Nell’uno o nell’altro caso, sono iniziative sporadiche e che non coprono l’intero territorio nazionale. Quello che è necessario e urgente di fronte alla mafia che avanza ed è sempre più insidiosa e penetrante, è una campagna generale e obbligatoria che veda protagonista lo Stato, mobiliti tutte le scuole e tutti gli insegnanti che sono in grado di farlo puntando a formare cittadini democratici che hanno idee chiare sullo Stato di diritto e su quella che è una democrazia moderna.
Si tratta di far capire a bambini che si affacciano alla vita che cosa significa osservare le regole, comportarsi in maniera onesta e leale, non badare soltanto a se stessi, rispettare gli altri, far valere i propri diritti ma osservare anche i propri doveri, escludere il parassitismo e la violenza dai propri comportamenti.
Sa il ministro che, secondo il decimo rapporto di «Sos Impresa», la mafia è in Italia la più grande azienda del Paese? Che il sommerso nel nostro Paese è una percentuale assai alta rispetto al Pil e rapprensenta una ricchezza enorme sottratta al fisco e al controllo dello Stato?
Perché, se si sente il bisogno di introdurre elementi di educazione civica, come lei stessa ha dichiarato nei giorni scorsi, non lo si fa nell’unico modo efficace sperimentato in altri Paesi con risultati assai positivi, invece che con le modalità precedenti risultate negli scorsi decenni più o meno inutili?
Dico queste cose perché, da oltre trent’anni, ho dedicato miei studi al fenomeno mafioso e ho potuto verificare che, come scriveva Giovanni Falcone in tempi ormai lontani, la repressione giudiziaria non avrà mai ragione da sola della mafia. E, prima di lui, un conservatore illuminato come Leopoldo Franchetti lo aveva capito, già nel 1876, dopo un viaggio in Sicilia. Si cattureranno i capimafia ma l’esercito mafioso sostituirà i generali caduti e proseguirà la sua azione criminale.
Soltanto se si influirà sul modo di pensare e sentire degli italiani, e in particolare delle masse popolari, e si farà in modo che la vita economica delle comunità locali e del Paese sia sana, sarà possibile stroncare il cancro mafioso che, come ogni fenomeno umano, è destinato ad avere un inizio e una fine. Ma se lo Stato resta immobile e non lo contrasta in maniera efficace, resteremo ancora per anni e per decenni a registrare le imprese violente di Cosa nostra, della ‘ndrangheta e della camorra, per non parlare delle consorelle straniere.
Mi auguro che lei, ministro, possa e voglia riflettere su questa idea e dare agli italiani una risposta e una speranza.