Unità-Come rovinare una Costituzione-di Franco Bassanini
Come rovinare una Costituzione Quarantatre articoli della nostra Costituzione (anzi alla fine quarantotto, se consideriamo gli emendamenti già presentati dai capigruppo della maggioranza) veng...
Come rovinare una Costituzione
Quarantatre articoli della nostra Costituzione (anzi alla fine quarantotto, se consideriamo gli emendamenti già presentati dai capigruppo della maggioranza) vengono cancellati e riscritti dalla riforma costituzionale all'esame della Camera. Se passerà, della seconda parte della Costituzione del 1947 resterà ben poco. La stessa prima parte della Costituzione, formalmente inalterata, ne verrà sostanzialmente modificata.
La portata "qualitativa" della riforma è ancora più rilevante. Essa definisce una nuova forma di governo, cambia la struttura del Parlamento, modifica la forma dello Stato, riscrive i rapporti fra Stato e Regioni, rivede sostanzialmente i poteri e le funzioni degli organi di garanzia. Indirettamente, ma sostanzialmente, incide sui principi del nostro sistema costituzionale, sulle garanzie dei diritti e delle libertà dei cittadini, sulle regole democratiche e sugli strumenti della democrazia. Di fatto, si demolisce la Costituzione del 1947 e se ne scrive una nuova. Ma abbiamo davvero bisogno di una Costituzione nuova? O non basta aggiornare e ammodernare, in pochi punti, quella approvata quasi all'unanimità dall'Assemblea Costituente? E si può, con le procedure dell'art. 138, non già emendare parzialmente in alcuni punti, ma riscrivere l'intera Costituzione? E farlo, per di più, a colpi di maggioranza?
Ma soprattutto: è questa nuova Costituzione anche una buona Costituzione? Abbiamo più volte riunito i più autorevoli costituzionalisti italiani, di tutti gli orientamenti culturali e politici: di sinistra, di destra, di centro. Sessantatre di loro hanno espresso e motivato il loro giudizio anche per iscritto. Abbiamo pubblicato integralmente i loro scritti in un volume di Astrid. È impressionante la enorme prevalenza di giudizi e valutazioni negative. Sono critiche che non investono i particolari, ma demoliscono il disegno complessivo della riforma. Rilevano che esso non appare coerente con i principi e la cultura del costituzionalismo moderno. Denunciano il rischio di un forte indebolimento delle garanzie dei diritti e delle libertà costituzionali. Come è stato scritto, "mai il costituzionalismo è stato", in Italia, "messo così duramente alla prova".
Tre sono le principali ragioni del nostro angosciato dissenso. Primo. Questa riforma non chiude la transizione costituzionale. Non pone le basi per la costruzione di un moderno Stato federale. Al contrario, mescola contraddittoriamente derive secessioniste e rivincite centraliste, minaccia l'unità nazionale e la coesione del Paese, soffoca l'autogoverno locale, mette a rischio l'universalità dei diritti e delle libertà costituzionali, a partire dai diritti all'istruzione e alla salute. Aumenterà non diminuirà, il contenzioso tra Stato, Regioni, enti locali, l'ingovernabilità e il caos istituzionale. Costringerà le Regioni e gli enti locali a aumentare le tasse e ridurre i servizi, anche i servizi essenziali per i cittadini.
Secondo. Questa riforma non dà all'Italia le regole di una moderna democrazia dell'alternanza. Apre, al contrario, una grande questione democratica. Abbandonata la forma di governo parlamentare, questa riforma non approda da nessuna parte: non si ispira a nessuno dei modelli sviluppati dall'esperienza costituzionale delle democrazie moderne. Delinea una forma di governo unica al mondo, basata sulla dittatura elettiva di un uomo solo. Il Parlamento è alla mercè del Primo Ministro. Esasperando la personalizzazione del potere, rischia di aprire la strada a possibile derive autoritarie, peroniste o bonapartiste, senza nel contempo garantire vera stabilità e efficacia all'azione di governo. Il popolo è sovrano per un giorno e poi suddito per cinque anni. Ma il processo democratico non può esaurirsi nella scelta di un capo al quale sono delegati per alcuni anni pieni poteri. Con la sola garanzia che alla fine si tornerà a votare. Garanzia assai modesta, visto che quel capo, controllando e ricattando la maggioranza parlamentare, potrà nel frattempo cambiare le leggi che disciplinano i diritti e le libertà dei cittadini, l'indipendenza della magistratura, il pluralismo dell'informazione, i meccanismi elettorali, i rapporti tra politica ed economia, il sistema delle garanzie e dei controlli.
Terzo: la riforma indebolisce il sistema delle garanzie democratiche e costituzionali, invece di renderlo più forte, per equilibrare i maggiori poteri conferiti alla maggioranza, al governo e a chi li guida. Certo, una democrazia è solida se sa risolvere i problemi dei cittadini. Per questo occorrono istituzioni forti, capaci di decidere e di attuare efficacemente le decisioni prese. Ma esse lo sono, se lo fanno con il consenso dei cittadini, se garantiscono adeguati controlli sull'esercizio del potere, se dànno a tutti la sicurezza dei propri diritti e libertà; se assicurano un equilibrato pluralismo istituzionale. Se ciò non accade, alla lunga non sapranno neppure prendere le decisioni giuste, né sapranno farle rispettare. La forza delle istituzioni nasce dalla loro legittimazione democratica, dalla loro capacità di interpretare attese e domande sociali, di mobilitare coscienze e volontà sulle scelte da compiere e sulle innovazioni da realizzare. E anche dalla capacità di definire con nettezza l'ambito e i confini della politica, e, all'interno di questi confini, i limiti del potere del governo e della maggioranza (i limiti di ogni potere costituito) rispetto ai diritti e alle libertà garantiti a tutti e a ciascuno. Chi vince ha il diritto e il dovere di governare, di avere gli strumenti necessari per attuare il programma presentato agli elettori. Ma nel rispetto della Costituzione e delle leggi, dei diritti e delle libertà di ciascuno e delle garanzie riconosciute alle minoranze. La dittatura della maggioranza non è compatibile con la democrazia.
È questo il cuore delle Costituzioni democratiche e liberali: dotare i vincitori delle elezioni dei poteri necessari per ben governare; ma dare a tutti, e in primis agli sconfitti, la certezza che i loro diritti non sono minacciati, che le regole e i principi della democrazia non sono alla mercé di chi ha vinto. Prevedere dunque, a fronte di governi efficaci e capaci di decidere, forti checks and balances, argini solidi al potere di chi ha vinto, garanzie sicure delle libertà e delle regole democratiche. Questa riforma non fa né l'una, né l'altra cosa.
Val la pena scardinare la Costituzione repubblicana, che - bene o male - ha per cinquant'anni garantito la convivenza democratica e la certezza dei diritti e delle libertà fondamentali (e che ha rappresentato il quadro nel quale, non senza aspri conflitti, grandi conquiste civili e sociali sono state conseguite e consolidate), per raggiungere siffatti risultati?
Noi pensiamo di no. E dunque diciamo no a questa riforma. Ma non siamo conservatori. Sappiamo che molti cambiamenti sono intervenuti nel mondo, e la Costituzione deve tenerne conto. Ma una cosa è riformarla per demolirne i principi e i valori supremi, un'altra per meglio realizzarli: per meglio garantire i diritti e la dignità di ogni persona umana, per potenziare gli strumenti di partecipazione, per rendere effettiva la democrazia, per promuovere lo sviluppo e la crescita economica, sociale e civile.
Per far questo, occorre innanzitutto fermare questa riforma. Se non riuscirà a farlo l'opposizione in Parlamento, lo faranno gli italiani con il referendum. E poi occorre "mettere in sicurezza" la nostra Costituzione. Stabilire che anche in Italia, come in Germania, negli Stati Uniti e in gran parte delle democrazie moderne, le riforme costituzionali debbano essere approvate a maggioranza qualificata. Questo avremmo dovuto fare nella scorsa legislatura, quando eravamo in maggioranza. Questo dovremo fare domani, quando torneremo ad esserlo. Prima di ogni altra cosa. Offrendo questa garanzia al centro destra ma anche ad ogni futura opposizione. Le riforme costituzionali approvate a colpi di maggioranza ledono i principi della democrazia costituzionale; e non durano nel tempo. Non si può cambiare la Costituzione ad ogni cambio di maggioranza.
Solo dopo - dopo aver messo in sicurezza la nostra Costituzione - ci si potrà sedere intorno a un tavolo, per un confronto sereno sugli aggiornamenti da apportare ad una Costituzione che è ancora la nostra: nella quale ancora si riconosce - noi riteniamo - la grande maggioranza degli italiani. Senza che nessuno possa mettere sul tavolo la spada di Brenno.