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Unità: Chi ferma i trapianti

quali inconvenienti e quali danni hanno prodotto questi giorni di polemiche?

05/09/2008
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l'Unità

Chi Ferma i Trapianti

Giovanni Berlinguer

I progressi rapidi e tumultuosi della biologia e della medicina, che aprono nuove strade alla conoscenza e al miglioramento della vita, portano con loro molte incertezze, speranze, discussioni. Soprattutto in Italia, c’è una forte tendenza a restringere gli spazi delle libertà personali: lo ha dimostrato la legge sulla procreazione assistita, che ha creato più ostacoli che possibilità; lo sottolinea l’abuso del direttore sanitario della Lombardia, Carlo LucchinaÈ Lucchina che vuole obbligare i medici a violare le decisioni giudiziarie riguardanti la tormentata storia di Eluana Englaro. In questo clima l’Osservatore Romano ha pubblicato mercoledì 3 settembre, con somma evidenza, l’articolo della prof. Lucetta Scaraffia, docente di storia contemporanea a Roma. Esso è basato sulla recensione di due libri che riguardano la morte cerebrale, i trapianti e la fine della vita, autori Paolo Becchi e Roberto De Mattei, che la Scaraffia ha interpretato come antitetici rispetto ai criteri che da 40 anni (dichiarazione di Harvard) guidano le ricerche e le applicazioni sui trapianti in ogni parte del mondo.

L’articolo giunge alla conclusione che il concetto di «morte cerebrale» deve essere reinterpretato e integrato, e che inoltre «si aprono nuovi problemi per la Chiesa cattolica». Su quest’ultimo punto, non vi è dubbio che un problema sia sorto: quello di correre ai ripari dopo aver scritto che «la morte cerebrale non è la morte dell’essere umano», dopo aver dubitato che «la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo», dopo aver affermato che tutto ciò «sarebbe in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della chiesa nei confronti del coma persistente».

Nelle ore e nei giorni successivi innumerevoli esponenti del Vaticano, a partire dal portavoce del Papa, padre Federico Lombardi, si sono affaticati per dichiarare pienamente valido il criterio di accertamento della morte, basandosi anche sul discorso pronunciato nell’agosto scorso da Giovanni Paolo II al Congresso mondiale della Transplantation society (e ricordato da Ignazio Marino): «I criteri di accertamento della morte, che la medicina oggi utilizza, non sono da intendere come la percezione tecnico-scientifica del momento puntuale della morte della persona, ma come una modalità sicura, offerta dalla scienza per rilevare i segni biologici della già avvenuta morte della persona».

Poco dopo si sono pronunciate in piena coerenza le istituzioni e i soggetti satelliti: il centro di Bioetica dell’Università cattolica dichiarando che l’articolo della Scaraffia «contiene inesattezze e rischia di confondere situazioni tra loro differenti», il Movimento per la vita sottolineando che «l’autrice si è lasciata guidare da una resistenza emotiva contro l’espianto di organi per i trapianti», e l’onorevole Paola Binetti affermando che «non c’è alcun elemento di natura bioetica o scientifica per cambiare opinione. Il magistero della chiesa rimane quello».

Ho seguito finora la cronaca; ma non vorrei trascurare due considerazioni. Una nasce dalla validità persistente e benefica del rapporto di Harvard che parte dal concetto di «morte cerebrale», a differenza di un’idea minimalista: essa supponeva una garanzia sufficiente nella perdita delle funzioni corticali, non di tutto il cervello. Così proponeva anche H.T.Jr Hengelhard (Manuale di bioetica, Milano 1991), basandosi sull’idea che «la persona non è definita dalla mera persistenza delle funzioni biologiche», se mancano l’autocoscienza e la razionalità: due concetti significativi sul piano psicologico e fisiologico, ma forieri di scelte soggettive e di prevedibili arbitri.

Aggiungo però che la stessa «morte cerebrale» non è esaustiva, rispetto alle garanzie attuali. Lo hanno testimoniato tre autorevoli laici «doc» in questi giorni. Carlo Defanti, con l’affermazione che è meglio parlare di «punto di non ritorno», più che di morte cerebrale; Maurizio Mori, che ha auspicato «una più approfondita riflessione in tutte le questioni, avendo di mira l’ampliamento delle libertà individuali e la tutela delle persone»; Umberto Veronesi, che insiste giustamente sul fatto che le decisioni, se possibile, devono essere anticipate: da ciò la campagna a favore del «testamento biologico», come espressione esplicita delle proprie volontà in caso di sopravvenuta incapacità di intendere e di volere: cosa che accade in moltissimi paesi ed è ancora negata agli italiani.

La seconda considerazione è una domanda: quali inconvenienti e quali danni hanno prodotto questi giorni di polemiche? I trapianti di tessuti e di organi costituiscono uno dei progressi più straordinari della terapia e della solidarietà umana, e anche per questo richiedono attenzione, coerenza, equilibrio e un costante impegno. Esso in Italia si realizza grazie ai servizi sanitari e al Centro nazionale trapianti diretto da Alessandro Nanni Costa, che ha raggiunto tra i livelli più alti in Europa. Fra le molte difficoltà che incontrano in Italia l’equità e la qualità della prevenzione e dell’assistenza sanitaria e sociale, vi sono anche esperienze esemplari che possono essere di guida.


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